You cannot be serious
Impiego qualche minuto a realizzarlo, quel tanto che basta per allontanarmi e restare solo e chiedere un altro spritz; ma poi ci arrivo, mi rendo conto che in quel domandare come vanno le cose in ufficio in modo del tutto slegato dal simulacro di conversazione che stiamo avendo, in quel piazzare frasi nobili sull’etica e il rancore e il business-is-business c’è lo stesso sguardo allucinato dello stalker che finge di passare casualmente davanti al portone della ex e poi si ferma nel bar di fronte a sfinirsi di caffè per vedere lei con chi esce, la stessa incapacità da dodicenne ferito di stemperare rabbia e delusione fino a dimenticarle almeno per stanchezza, la stessa egocentrata inconsapevolezza del ridicolo, del grottesco. Dopo un po’ saluto, con un misto di sollievo e di inquietudine, ma forse più di quest’ultima perché trovarsi di fronte lo spettacolo del desiderio di dominio, del bisogno di vendetta, della necessità di riappropriazione e avvertire che potrebbe rivoltarsi su di te in qualunque istante, non importa quanti momenti belli o buoni avete vissuto insieme è una cosa che non fa paura, ma tristezza, e stanchezza, quelle sì.