Mia mamma, come tutte le mamme, mi ha dato una discreta quantità di consigli. Molti, come tutti i figli, non li ho seguiti, ma uno sicuramente sì: stai attento alle compagnie. Naturalmente nei limiti del possibile, perché è bastato poco per capire che l’idea di essere l’unico artefice della mia vita era bacata come Windows Vista, e quindi c’erano parecchie cosette fuori dal mio controllo. Per dire, i colleghi mica te li scegli: arrivi in un’azienda, ti danno una scrivania, e chi c’è c’è, non è che puoi dire questa sì e quello no come ti pare. E però, sempre i colleghi, un po’ te li scegli: quelli con i quali ti fermi due minuti in più alla macchina del caffè, quelli che dopo un annetto allora ci fermiamo al bar qui sotto e beviamo qualcosa. Per dire, appunto. Gli ambienti, i microcosmi non sono quasi mai completamente imposti: al loro interno ti ci scavi la tua nicchia, e la riempi; o entri nelle nicchie altrui. A me, che non ho un Q.I. sopra la media, questa è sempre stata una cosa piuttosto chiara fin da quando avevo otto anni (no, in effetti non mi posso definire un bimbetto precoce), ed è rimasta tale da allora in poi. Evidentemente però non è così per tutti. Non lo è per una serie di sapienti che ho letto qui e là in questi giorni, quelli che parlando e scrivendo di un certo ambiente sociale non hanno trovato di meglio che ricorrere alla sineddoche e far diventare la loro esperienza quella di tutti considerandola l’unica e sola possibile: nicchie? microcosmi? Ma va là, ma ti pare, troppo complicato; come se nessuno, a partire dalle loro mamme, gli avesse mai detto di stare attenti alle compagnie che si sceglievano; come se nessuno li avesse avvisati che se la loro nicchia era rissosa, rumorosa, prepotente, tronfia il problema non era dell’universo mondo ma del fatto che si erano scelti male i compagni di viaggio, i colleghi con cui fermarsi due minuti in più alla macchina del caffè, che la risposta stava dentro di loro – e infatti era quella sbagliata. La cosa fantastica di tutto questo è che molti di questi sapienti nel tempo sono diventati persone importanti: insegnano all’università, hanno un biglietto da visita con su scritto Social Media Something, scrivono libri, disegnano articolate e talvolta retribuite strategie di conversazione sociale – che è un po’ come pagare per seguire un corso di public speaking tenuto da Rain Man, a ben pensarci – e quindi, che dire, in virtù del loro status bisogna pensare che hanno ragione loro. A me rimane il dubbio del metodo Report, cioè di quella cosa che ti sembra tutto ragionevole finché non senti la Gabanelli e i suoi parlare di qualcosa che tu conosci bene, e allora capisci un paio di cose: la prima è che fai meglio a cambiare canale, e in fretta; e la seconda è che, come sempre, aveva ragione la mamma.