Un modo di stare al mondo
(…) li lascio con le loro offese e i loro applausi, magari ad interrogare ogni tanto quella loro vecchia divisa, quando sarà messa in un cassetto dopo la pensione, sull’onore e la dignità che essa avrebbe preteso.
Onore e dignità sono parole difficili, e ambigue, e scivolose. In loro nome sono state fatte porcherie indicibili, perché rappresentano una declinazione di qualcosa di ancor più difficile e complicato da pensare, costruire, realizzare, e cioè un modo di stare al mondo. Eppure qualcosa che viene da molto lontano continua a dirci che onore e dignità, se gli togliamo gli orpelli retorici, se le ripuliamo dalla magniloquenza retorica sono cose buone, sono cose piccole e impalpabili e di enorme importanza per arrivare a una certa età senza decidere di spararsi un colpo in testa. Soprattutto sono cose che nel loro nocciolo sono semplici: fai la cosa giusta, e se la fai sbagliata ammettilo, chiedi scusa, poni rimedio. Leggere le parole di Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi a me fa male due volte: mi fa male da cittadino, da persona comune che crede nello Stato e dello Stato e delle sue espressioni concrete si fida – decide consapevolmente di, vuole fidarsi -; e mi fa male da persona che con le divise ci è cresciuta e sa che onore e dignità per molti, moltissimi di coloro che quelle divise le portano non sono parole vuote. Anzi, non sono nemmeno parole. Sono qualcosa di più leggero e al tempo stesso profondo: un modo di stare al mondo, semplice e onesto e perciò difficile, che non le rende migliori di chiunque altro ma le rende meritevoli di rispetto come (quasi) chiunque altro. Le parole della signora Moretti fanno male, e molto, perché sono vere nel perimetro della sua esperienza, che è quella che per lei conta e che a noi dimostra che un altro modo di stare al mondo è, purtroppo, possibile.