Occhio non vede
Se Doina Matei non avesse aperto un profilo Facebook e non avesse postato le sue foto, molto probabilmente nessuno avrebbe saputo della sua semilibertà e quindi del suo diritto ad andare al mare come chiunque altro, e lì di farsi e farsi fare foto che la ritraggono sorridente e abbronzata, come chiunque altro che può farsi qualche giorno o qualche ora di vacanza. Perché abbia aperto quel profilo e abbia postato le sue fotografie, è una cosa che a me sfugge: se non lo avesse fatto, la sua vita non sarebbe cambiata di una virgola, la sua semilibertà, il suo obbligo di rientro a una certa ora, la sua possibilità di andare al mare e abbronzarsi. Mi chiedo se lo ha sventatamente deciso da sola o se è stata consigliata, se non ha pensato che avere un diritto (Gad Lerner dice il diritto al sorriso; forse più in generale si potrebbe dire il diritto di avere una vita nei limiti che ti sono consentiti) non significa essere obbligati al suo esercizio completo (che include mostrarla, quella vita) o se qualcuno l’ha spinta per una qualche forma di sfida. Io non so se i nove anni che Doina Matei ha passato in carcere sono tanti o pochi: non so né come li ha passati né come è lei oggi dopo tutto quel tempo. So che ha un diritto, che lo ha esercitato e che è giusto e persino doveroso sostenere questo suo diritto. Non riesco a togliermi dalla testa che questo: mostrarsi, ecco, questo se lo poteva risparmiare (e no, non penso ai familiari della donna che ha ucciso). Non lo ha fatto e non facendolo non ha commesso nessun reato, non ha mostrato nessuna mancanza della legge, non ha fatto da testimonial di alcuna forma di lassismo o di sfregio verso la società civile. Ha solo fatto, sventatamente, una cosa che per puro e semplice egoismo le sarebbe convenuto non fare, mostrando che in fondo il problema non è suo, ma nostro.