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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    30/08/2016

    Una vita fa

    Filed under: — JE6 @ 15:38

    Una vita fa c’erano i blog, e pure i blogger. C’erano anche cose che a guardarle oggi possono sembrare ridicole e/o patetiche: forse lo erano, ma erano tutti (più) giovani e poi è passato tanto tempo, non abbastanza da misurarle come se fossero Storia, ma a sufficienza per non ricordarsele nel modo giusto – se uno c’è. Una di queste cose si chiamava BlogRodeo, che partì come una serata nella periferia milanese; per molti rimase quello, per qualcun altro proseguì ancora un po’ come un divertissement da pausa pranzo, poi finì come tutte quelle altre cose che a guardarle oggi eccetera. Quella sera c’era anche Tommaso Labranca, nei panni del Bravo Presentatore. Chi lo invitò, chi lo convinse a venire e prestarsi – sicuramente senza compenso – non lo so o comunque non lo ricordo più; lui era quello famoso, nei limiti della celebrità che uno come lui poteva avere, e nonostante questo la sua presenza non era incongrua. Non più di quella di chiunque altro fosse lì. Non ho altri particolari ricordi di Labranca, non farò il fan che non ero. Però tanti anni dopo, una vita dopo, mi sono ricordato che lui era lì e anche se non ci scambiai una sola parola – almeno non mi pare – so che ebbi la sensazione che stava lì per e con piacere. Magari mi sbaglio, è passato tanto tempo.

    26/08/2016

    Tempo irreale

    Filed under: — JE6 @ 10:56

    Se prendi un informatico serio (ma se non ce l’hai sottomano basta anche Wikipedia) questo ti  spiega che real time non significa quello che ormai siamo abituati a pensare, ti dice che un sistema real time è qualcosa che esegue un certo compito, e quindi raggiunge un determinato obiettivo, nel tempo prestabilito: che può essere anche lungo, anche molto lungo; ma, prima di tutto, preciso: nessun ritardo, nessun anticipo.

    Ma il mondo non è fatto né regolato dagli informatici seri. E così è successo che a un certo punto abbiamo preso a dire real time usandolo come sinonimo di “immediatamente”, “ora”, “adesso, proprio mentre parlo/scrivo/guardo”. Quando e soprattutto perché questo sia successo io non lo so. C’ero sicuramente, ma non me ne sono accorto: dormivo, o quanto meno sonnecchiavo, insomma. E così oggi per me, come per chiunque io conosco, il tempo reale è quella cosa lì. E’ adesso. E se il tempo reale è adesso, ciò che non è adesso non è reale. Se la scossa arriva alle 6.28 io devo dire qualcosa alle 6.29 al massimo: non perché abbia un obbligo contrattuale, non siedo a un desk né mi chiamo Serra o Gramellini o Barenghi (che poi questi arrivano il giorno dopo, un po’ come Sky con i canali +1); no, semplicemente perché ormai penso che, appunto, la vita è adesso. Ogni tanto si sente qualcuno dire “beh, ma che fine ha fatto X”, dove X è una persona, un fatto – Ryan Lochte, lo scontro dei treni in Puglia – che per un giorno, forse due è stato tutto, è stato il tempo, e poi puf:  e la risposta è che non lo sappiamo la fine che ha fatto, perché da quel giorno sotto i ponti è passato un sacco di tempo reale, e ormai il tempo di X non è più adesso. E’ altro, e irreale.

    22/08/2016

    Una volta erano tutti Greetings

    Filed under: — JE6 @ 15:04

    Qui una volta si viaggiava molto più di oggi. E si scriveva pure molto di più. A pensarci, forse le due cose erano molto più collegate di quanto sembrasse. Comunque. Qualche giorno fa sono uscito dalla porta di un albergo russo, stavo a San Pietroburgo, mi sono guardato intorno – la sera prima ero arrivato tardi, pioveva forte, era buio; e invece in quel momento lì c’era il sole, l’aria tersa e fresca – e ho sentito una cosa strana, che mi ci sono voluti tre stati e una dozzina di giorni e il rientro a casa per razionalizzare un po’, e quella cosa era una specie di sensazione di casa. Che detta così, dopo aver fatto Russia, Finlandia e Estonia, sembra una scemenza. E non sono sicuro che non lo sia, però so che ogni volta che sono stato dall’altra parte dell’Atlantico respiravo qualcosa di diverso, potevo chiudere gli occhi e sapere di essere lì solo per l’aria, qualcosa di indefinibile e per me inspiegabile ancora oggi dopo vent’anni dalla prima volta che mi ritrovai nella fornace di Atlanta. E invece qui. Mi è altrettanto inspiegabile respirare l’aria della Neva o quella della piazza del Senato di Helsinki, o di Kadriorg a Tallinn e sentirle come qualcosa di conosciuto pur non avendoci mai messo piede prima. Non so, è strano, ho visto certo più Italia a San Diego che non in casa degli Zar, non so cos’è, magari è una fissa solo mia. Eppure questa cosa di essere lontano e annusare l’Europa mi piace. Come mi piace anche il suo contrario – è che alla fine è così, dove mi metti sto e ci sto bene, in fondo è tutto lì.

    01/08/2016

    Orario estivo

    Filed under: — JE6 @ 11:40

    Abbiamo fatto dieci, undici mesi, sempre seguendo lo stesso orario. O comunque avendolo ben presente, se facciamo una vita che non ci lega al minuto preciso. Sappiamo quando inizia la vera ora di punta, quando dalle scale scendono stormi di studenti, quando gli incroci delle circonvallazioni diventano degli uncini incastrati senza speranza. Sappiamo com’è la luce quando usciamo di casa, chi esce dal bar dove ci fermiamo per il secondo caffè, dove iniziano le code dei consolati e degli uffici pubblici. Sappiamo tutto, è una cosa che odiamo e della quale non possiamo fare a meno.

    Poi arriva l’estate. E gli orari del mondo non combaciano più con i nostri: meno treni, meno macchine, gente in vacanza, ritmi appena più rallentati – sarà il caldo, sarà la stanchezza, sarà qualcosa che non sappiamo ben definire – e tutto va fuori sincrono. Non dura molto, l’orario estivo: il tempo di rendersi conto che è cambiato qualcosa, poi il tempo di provare ad adattarsi, poi le due settimane di ferie e poi si riprende nella confusa spossatezza del rientro, quando all’orario estivo della città non facciamo più caso perché il nostro fuso orario è ancora indietro di qualche giorno. Però, fino a quando c’è, ce lo godiamo. Non fino in fondo, perché da qualche parte ci portiamo in giro un grumo di fastidio per le abitudini interrotte e una specie di inspiegabile senso di colpa, ma anche con la soddisfazione del “ce lo siamo meritati, dopo un anno di lavoro”, e arriviamo in ufficio o all’appuntamento con il cliente con qualche minuto di ritardo, e sorridiamo contando sulla comprensione altrui, “eh, l’orario estivo”.