Un antidoto contro la solitudine
La cosa più difficile è sempre stata bussare alla porta della stanza, fare due passi, dire buongiorno e presentarsi. Sempre. Per qualche mese sono andato insieme ad altre persone in un ospedale milanese a chiedere ai malati se avevano voglia di starci a sentire leggere alcune pagine di un libro, e ogni volta la cosa più difficile è stata quella. Ogni volta il pensiero era “ma questa gente non avrebbe diritto di starsene in pace, perché sono qui, perché sto invadendo questo microscopico perimetro che delimita il loro letto”. Sono state più le camere nelle quali non sono entrato che quelle nelle quali ho messo piede: perché la persona aveva gli occhi chiusi, perché c’era una tapparella a metà, perché c’era una persona seduta vicino al letto, perché c’era una trasmissione del sabato pomeriggio che faceva da sottofondo ai minuti che passano da un pasto a una pastiglia. Ma in qualcuna sì, sono entrato, mi sono presentato, ho chiesto se volevano che, ho detto quali libri avevo con me. Ho ricevuto dei sì poco convinti – la maggior parte, quasi di cortesia, come se fossero loro a fare un piacere a me: e in effetti spesso avrei scoperto che era proprio così – e qualcuno più caldo. Ho ricevuto un sacco di no, come era ovvio e pure giusto che fosse. Ho letto “La chiave a stella” a una magnifica ottantenne napoletana professoressa di lettere e il finale de “L’amore ai tempi del colera” a una casalinga di Rozzano, e altre cose ancora ad altre persone ancora, e ogni volta alla fine mi sono ritrovato sudato fradicio come se avessi scalato una montagna. Ho visto persone chiudere gli occhi e prendere un respiro lento e regolare (e i nostri istruttori ci dicevano che era una cosa buona e bella, che era come far addormentare un bambino). Più di una volta mi sono fermato dopo una manciata di righe, più di una volta mi sono fermato un’altra mezz’ora a chiacchierare e soprattutto a farmi raccontare storie, il signore che non vedeva la figlia e i nipoti da mesi perché sa, sono occupati, hanno tanto da fare e si capiva che ci voleva credere davvero, la maestra in pensione che aveva inserito un metodo di insegnamento in una scuola elementare negli anni Cinquanta, la soprano caduta in disgrazia, il disoccupato in stato di depressione, la moglie che suggeriva al marito allettato le parole che il leggero ictus non gli faceva più venire alla bocca. Ho ricevuto molto, molto più di quanto ho dato, e ho toccato con mano quanto David Foster Wallace avesse ragione a dire che un libro è un antidoto contro la solitudine – lo è quando lo apri e ti isoli dal mondo che ti sta intorno per entrare in un altro lontano pieno di gente da conoscere, lo è quando qualcuno lo apre per te, lo è in un sacco di modi imprevisti e sconosciuti fino a quando li tocchi con mano. Non funziona sempre, non risolve tutto, ma come sarebbe la vita senza mi viene freddo solo a provare a immaginarlo.
October 6th, 2016 at 17:13
[…] mi fermo qui, ma voi arrivate fino alla fine, mi raccomando (come faccio sempre, più o meno). E sempre di libri (e di poesie) vorrei parlare anche […]
October 21st, 2016 at 13:17
Lo crodo anch’io. Il libro è sempre un antidoto contro la solitudine
October 21st, 2016 at 13:20
Scusa il refuso. Marguerite Duras diceva “la solitudine significa anche: o la morte o il libro. Ma innanzitutto significa alcol”.
November 22nd, 2016 at 22:37
L’ha detto benissimo, Sir. Anche leggere certi suoi post come questo (ancora) fa passare il freddo. E dove lavoro io, in biblioteca, fa purtroppo sempre più freddo.