Alla fermata
Alzo gli occhi dal Kindle mentre scende il primo scalino del tram, la mano dentro quella di una donna che gli ha appena detto dai è la nostra. Lo vedo di spalle, uno zaino grosso quanto lui, le gambe magre e i capelli corti, in tre o quattro secondi sparisce tra universitari e semafori. Riporto gli occhi verso i finestrini del mio lato, faccio un rapido conto di quanti minuti mancano alla mia fermata e alla prima telefonata della giornata, e allora faccio caso a quei segni lasciati sul vetro approfittando della condensa di una mattina di pioggia, prima un cuore e poi la parola mamma, scritti con un dito proprio all’altezza del sedile davanti al mio, che per una decina di secondi rimane vuoto finché non si siede una ragazza che ha in mano un libro di medicina.