Da fuori, standoci dentro
Teniamo in casa per una decina di giorni una sedicenne di Francoforte. Programmi di scambio, quelle cose lì. Ovviamente ti prepari: il letto, un pezzo di armadio, il bagno, i biglietti giornalieri, l’adeguamento degli orari delle sveglie e tutto il resto. Fai la vita normale, che è uno degli obiettivi di questi periodi in casa altrui (una cosa tipo a day in the life), sapendo che non può esserlo davvero, che è tutto un po’ fuori sincrono, che è tutto un po’ meno vero, che è tutto plasmato come un pezzo di Das perché una ragazza torni a casa sua e abbia un buon ricordo di quella gente che l’ha ospitata. E poi guardi la tua vita con altri occhi, che non sono né i tuoi né i suoi. Dove la tua vita sta per un sacco di piccoli insignificanti dettagli – come tagli il pane, la luce dei lampioni della tua strada di periferia, quella piccola ragnatela in un angolo del pianerottolo che la signora peruviana non ha mai tolto e tu non hai mai trovato un motivo sufficiente per farlo a tua volta, il modo in cui ti metti sul divano a guardare la televisione, la temperatura che tieni in casa, la chincaglieria che sta sulla scrivania, l’accappatoio appeso in bagno. E’ come vederla da fuori standoci dentro, con un’attenzione a dettagli che ogni giorno stanno nascosti in bella vista sotto gli occhi, e che a un certo punto ti auguri che tornino al loro posto, così evidenti da non farci caso, come ogni giorno normale.