Non è la fatica, è lo spreco
Riguardo la foto, ingrandendola sullo schermo del telefono. Sono una decina, tutti poco meno che ventenni. Le loro famiglie sono venute dal Perù, dall’Ecuador, dalle Mauritius (“è un bellissimo posto, ma quello che vedete voi a noi è proibito; la gente come noi non può andare su quelle spiagge, lì ci stanno gli alberghi”), dallo Sri Lanka, e a risalire di un’altra generazione da isole vicine eppure lontane intere ere geologiche. Sono tutti nati qui, studiano altre lingue, a volte possono vedere paesi nei quali un tempo le loro famiglie sarebbero andate a cercare un lavoro, uno qualsiasi pur di riuscire a mangiare almeno una volta al giorno e dove oggi, magari costringendosi a mangiare una volta al giorno, cercano di mandare i loro figli semplicemente perché il mondo va visto.
Non riesco a capire cosa sta dietro quei sorrisi su una spiaggia a gennaio, che cosa pensano, che cosa sperano. A volte le immagini ti dicono solo di quell’istante preciso quando in testa non hai nulla, nulla che non sia il piacere primordiale di stare con gli amici. Riguardo la foto e mi torna in mente un pezzo di ormai tanti anni fa, loro che dicono sarebbe bello ridere di noi, di tutto il tempo rubato al nostro tempo a venire e io, noi, quelli come me, quelli della mia età, quelli che li hanno messi al mondo e gli stanno bruciando la terra sotto i piedi e davanti agli occhi che ci guardiamo in faccia dicendo non è la fatica, è lo spreco che mi fa imbestialire, non è la fatica, è lo spreco.