Debito di ossigeno
Rivedo Y. dopo sei mesi. Questa volta, insieme ai due figli, c’è anche I., il marito. Non l’ho riconosciuto, ma so che era lui l’uomo che nella sera fredda di Hlyboka di dieci mesi fa mi ha aiutato a caricare il furgone con i pochi bagagli che la sua famiglia estesa stava portando in fretta e furia fuori dall’Ucraina, ha salutato con un cenno i ragazzini infreddoliti e confusi, ha dato un bacio sulla guancia alla moglie seduta vicino al finestrino nella prima delle tre file di sedili e mi ha fatto un cenno come per dire “adesso tocca a te portarli fuori da qui, stai attento”. Ora si trovano di nuovo in Italia, tappa intermedia nel viaggio verso la Spagna dove un parente pare avere la possibilità di trovargli un lavoro e una casa lontani dagli allarmi aerei, dai licenziamenti, dall’energia elettrica che dopo tre ore si interrompe per quattro, dai soldi che una volta erano pochi ma bastavano e oggi che sono ancora meno non bastano più. I. dovrà trovare un lavoretto per un paio di settimane, forse un mese, il tempo sufficiente a tirare su la cifra che servirà a pagare quattro biglietti di sola andata con una low cost: gli ultimi risparmi sono serviti a pagare il viaggio fino a Milano, a bordo di uno dei pullmini che hanno continuato a fare la spola fra l’Ucraina e il resto dell’Europa, su ogni strada e con ogni tempo. Prima di salutarci vedo il video di un gruppo di soldati riuniti dentro un bosco a festeggiare il Natale: stanno in piedi, recitano qualcosa che sembra una preghiera, hanno volti seri ma non impauriti. Lo vedi questo, dice S., la mamma di Y.: è mio fratello, ora sta nell’esercito, qui sono a Bakhmut. Quella Bakhmut, chiedo io. Quella, risponde lei, ingoiandosi le maledizioni che ha in bocca. Mi chiedono se so cosa si deve fare per trasportare in aereo l’insulina di cui ha bisogno A., il figlio maggiore. No ma mi informo, state tranquilli, non sarà un problema, rispondo. Quando esco mi ritrovo a pensare che una guerra si può provare a vincerla in tanti modi, e che uno di questi è tirare via l’ossigeno di una famiglia come tante, come questa.