Gabo, e mio papà
Qualche giorno fa ho letto “Ci vediamo in agosto”, il racconto lungo (romanzo breve? vai a sapere) di Gabriel Garcia Marquez pubblicato postumo dieci anni dopo la sua morte. Io con Gabo ci sono cresciuto, l’ho letto e riletto e riletto ancora in diversi momenti della vita, e anche quando ero immerso nelle passioni del momento, pure quelle che sarebbero diventate amori duraturi – Philip Roth, Svetlana Aleksievič, Elizabeth Strout, Robert Perišić – lui era lì con la meraviglia della sua lingua, con i suoi personaggi ormai diventati parenti e amici e misteri mai abbastanza svelati.
Mentre lo leggevo – lui, e il libro – non riuscivo a non pensare a mio padre. Era come avere di fronte un uomo anziano, molto anziano ma ancora in buona forma e ritrovarne i bagliori dell’età adulta, di quando era forte, la voce sicura, gli occhi brillanti; era ancora lui, solo un po’ meno, una sua versione affievolita alla quale era impossibile non voler bene perché c’era ancora tutto quello che ti aveva preso il cuore tanto tempo prima. Gabo, e anche il mi’ babbo.