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    10/11/2012

    Zwei unbekannte Soldaten

    Filed under: — JE6 @ 13:06

    Sto sfogliando le pagine del “Piccolo” di Trieste, unico cliente di una trattoria di Opicina. C’è una pagina intera scritta da Paolo Rumiz, seguito di un articolo precedente “sull’ingiusto oblio dei Caduti e combattenti triestini, goriziani, istriani, fiumani e dalmati in divisa austro-ungarica nella prima guerra mondiale”. Lo leggo mentre finisco il mio quarto di bianco, faccio due conti veloci, quanto dista Prosecco, a che ora posso arrivare a Milano, quanto tempo posso impiegare per trovare il cimitero di guerra austroungarico di cui scrive Rumiz. Sette minuti per arrivare a Prosecco, affianco una signora anziana che ha delle verdure in mano, le dico cosa sto cercando, lei dall’altra parte del finestrino mi guarda come se le stessi parlando di fisica quantistica e in un misto di italiano e triestino mi dice che non ha mai sentito parlare di quel cimitero, vada avanti un chilometro fino ad Aurisina, poi chieda in piazza. Obbedisco, non trovo nessuno a cui chiedere, il navigatore non mi è di aiuto. Decido che sarà per la prossima volta, torno verso l’autostrada e come sempre capita eccolo, il cartello giallo nascosto dietro un angolo che non avrei mai visto se le curve di questa provinciale non obbligassero ad andare a trenta all’ora. Dopo cinquanta metri la strada si divide e naturalmente non c’è più alcuna indicazione, come se si volesse evitare di far arrivare chicchessia a quel cimitero, renderne impossibile la frequentazione per annullarne il ricordo, e l’esistenza. Scelgo uno dei due vicoli, dopo un paio di centinaia di metri incontro un signore che sta facendo due passi tra gli alberi umidi di questo bosco e lui sì, lui sa, guardi è proprio lì avanti, stia solo attento alle buche della strada. Ha ragione, ormai ci sono, giusto altri tre minuti di fango, buche e rovi. Apro il cancello, guardo le croci di pietra, l’erba alta e non curata, le tante sterpaglie, i fiori finti bianchi o rosa che stanno ai piedi di alcune tombe. Leggo le targhe, piccoli rettangoli metallici sui quali stanno scritti i nomi dei caduti. Sono cognomi tedeschi o austriaci, molti ungheresi, ne trovo uno italiano. Mi chiedo come comunicassero tra loro questi uomini, se erano divisi in plotoni per provenienza e lingua, cosa li unisse, come si salvavano la vita a vicenda un caporale del Balaton e un soldato di Lienz – forse a gesti, a spintoni, di istinto come animali. Faccio un rapido conto delle croci, saranno sette o ottocento, forse un migliaio. Leggo un’altra targa, sotto il nome di un soldato austriaco c’è la scritta “Zwei unbekannte Soldaten” – due soldati sconosciuti, dei quali non si sa il nome, militi ignoti. Mi avvicino al piccolo altare in pietra sormontato da una croce dove in tre lingue – italiano, tedesco e quel che credo essere sloveno, certo non è ungherese – si dice che qui stanno i resti di 1934 soldati austroungarici. Ci sono lumini sui quali sono stati intrecciati nastri tricolori magiari, c’è una corona con un nastro bianco e rosso lasciata dalla Croce Nera d’Austria, l’associazione che mantiene in vita il ricordo dei soldati austriaci morti nelle due guerre visitando i cimiteri di guerra sparsi per l’Europa. Un migliaio di croci, il doppio di morti, il conto degli unbekannte è fin troppo facile. Esco dal cimitero e mentre chiudo il cancello incerto della sua entrata mi chiedo se la settimana scorsa, nel weekend che noi fingiamo di dedicare ai nostri morti qui sia venuto qualcuno a far visita, mi chiedo se per caso questi cinque minuti passati nel mezzo di un bosco della provincia di Trieste con l’asfalto dell’autostrada a meno di mezzo chilometro di distanza non siano stati un omaggio a qualcuno che non se lo meritava: gli austroungarici sono stati nel 15-18 quel che le SS sono state venticinque anni dopo? Non lo so, dovrei leggere, dovrei studiare, dovrei capire, perché non vorrei fare la fine di quella buona signora che ho fermato a Prosecco, quella che non poteva non sapere di questo posto e invece. E mentre penso questo penso pure la cosa contraria, se abbia senso, cent’anni dopo, rifiutare al caporale del Balaton e al soldato di Lienz quel minimo sindacale di pietà che sta nel fermarsi a guardare le loro tombe e appoggiarvici sopra la mano, e anche a questa domanda non so darmi risposta.

    6 Responses to “Zwei unbekannte Soldaten”

    1. Stella Says:

      e si; il minimo sindacale ci vuole ed ancora una volta.
      Grazie, di aver reso noto il luogo e delle emozioni nobili donateci, come anche il gesto della ricerca e della volontà a trovarlo questo luogo, superando lo scoraggiamento delle impervie vie!
      Come un abbandono ritrovato per risollevare il ricordo ai tanti che leggeranno. 🙂

    2. Dalle parti di Opicina - manteblog Says:

      […] Squonk in giro per cimiteri in […]

    3. Lasko Says:

      Se ho capito bene la tua descrizione sei finito nel cimitero AU di Aurisina, non quello di Prosecco.
      Subito dopo i valichi di S.Pelagio e Col/Zolla, in Slovenia, trovi quattro cimiteri austriaci tenuti molto bene dai locali (e sanno tutti dove stanno).
      http://www.carsokras.eu/cultura.ck?idCat=77&idSck=56 (nel link manca per qualche motivo il cimitero tra Kreplje e Dutovlje).

    4. Sir Squonk Says:

      Grazie. Ero certamente ad Aurisina, ma ho pensato che il cimitero fosse uno solo visto che a Santa Croce (Prosecco), la località segnata da Rumiz nel suo articolo, non ho trovato alcuna indicazione.

    5. Lasko Says:

      Nei dintorni di Trieste i cimiteri AU intatti sono questi due, senza contare quelli di cui scrivevo in Slovenia. Diversi ufficiali austriaci sono sepolti poi a Trieste nel cimitero ex militare di Sant’Anna, ma non i caduti della prima guerra mondiale, almeno che io sappia. Tra i sepolti c’è Anton von Petz, ufficiale decorato per la battaglia di Lissa.

    6. caporale Says:

      i reggimenti erano abbastanza omogenei dal punto di vista della nazionalità. per esempio, il nonno Emilio ha combattuto assieme ai paesani in un reggimento di Kaiserjäger trentini dalle parti di Cracovia, il fronte trentino a sua volta era tenuto principalmente da tirolesi e cechi (ci era andata di lusso, le truppe ungheresi godevano invece di una pessima fama), e così via. nelle comunicazioni d’emergenza probabilmente si usava il dialetto, con gli ufficiali il tedesco.

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