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    28/04/2003

    Filed under: — JE6 @ 10:02

    Sono onesto, ma non sono Shakespeare
    B. Georg rimette in moto i neuroni, e piazza un post “di peso” su blog, numeri, scrittura ed universo mondo. Evito i convenevoli, e passo alle riflessioni.
    “Il nostro scrivere è per molti versi un parlare (…) e dell’oralità ha molte caratteristiche”. Se è vero, è preoccupante. Non mi nascondo che qualunque nostra espressione dovrebbe derivare da analoghe successioni di azioni mentali (raccolta delle informazioni, elaborazione, espressione), ma nell’oralità c’è una quota di improvvisazione molto maggiore rispetto a quella che si trova nella scrittura. La parola, una volta detta, è andata. La parola scritta può essere cancellata, spostata, e soprattutto – in generale – si presta ad una diversa e maggiore meditazione. Non funziona sempre così – ma dobbiamo ammettere che è facile rendersi conto di quando questo processo di premasticazione non ha avuto luogo.
    BG torna poi su un tema a me piuttosto caro: “ci convinciamo che la nostra visibilità (…) dipenda dalla nostra capacità di renderci interessanti e non dalla nostra capacità di accordare la nostra voce con i nostri contenuti, così da diventare originali, cioè inconfondibili”. Hmm.
    No, non mi convince. O meglio: la nostra visibilità (quella dei blog, si intende) dipende dalla nostra capacità di essere interessanti, e quindi di renderci tali agli occhi di chi ha la ventura di leggerci. E’ questa capacità che crea la corrispondenza intrinseca tra blogger e lettore (come tra blogger A e blogger B), la relazione continuativa, quella che sta alla base degli accessi ripetuti da parte di uno stesso soggetto in uno stesso blog. Io leggo tutti i giorni [Falso Idillio] perchè mi interessa (per temi trattati, oppure per tipo di scrittura). Se non mi interessasse, utilizzerei diversamente il mio tempo. E la stessa cosa faccio con Mantellini, Vic, Luca Sofri, Paolo Valdemarin, GuruGranieri e gli altri che stanno nei miei bookmark.
    Diciamo che questa considerazione vale dal cosiddetto “lato utente”. Rientrando nei panni del blogger, non posso nascondermi che i numeri sono indici della mia capacità di suscitare interesse in modo continuativo. Tutti le altre anime perse che vagano nella blogosfera si comportano come me, e adottano nei miei confronti lo stesso comportamento che io adotto nei loro.
    Vogliamo dire che la mia capacità di essere interessante dipende dalla mia capacità di “accordare la mia voce con i miei contenuti”? Credo di sì, credo che in parte questo sia vero. Alla lunga, se questa capacità non c’è, se viene simulata, si viene scoperti. Si suona falsi. Di casi, in giro, ce ne sono parecchi, ed anche famosi. Ciò non toglie, comunque, che il blogger che si guarda allo specchio (ed i numeri sono uno dei possibili specchi nei quali rimirarsi) deve riflettere su quanto i propri contenuti trovino spazio, consenso, interesse, in coloro che lo frequentano.
    Detto questo: “essere interessanti” significa “essere originali”? No, io non credo. Almeno, io all’originalità – anche per come la intende BG – credo davvero poco. E’ già stato scritto e pensato (quasi) tutto, e l’originalità, sia essa relativa ai temi oppure ai toni, oppure ad entrambi, è dono di pochissimi eletti. Lo dico con chiarezza, io non sono tra quelli. Ma, in tutta sincerità, in giro non ne vedo. E questo, però, non mi impedisce di frequentare alcune persone tutti i santi giorni. Come si fa con gli amici: non sono belli, non sono originali, non sono dei cervelloni: ma ti piacciono, e vai a farci quattro passi insieme, e ti senti bene.

    4 Responses to “”

    1. utente anonimo Says:

      posso dire che, IMHO, alle volte ti soffermi troppo sui termini che ti sono idiosincratici? Mi pare di si’, perche’ poi mi pare che non siamo cosi’ distanti (anche perche’ spesso dico cose proprio banali, me ne rendo conto). Ad esempio dopo “originali” aggiungevo “diventare se stessi”. Non e’ all’originalita’ autoriale che mi riferivo (su quello la penso come te: il “genio artistico” inventato dai romantici e’ diventato altro), ma al fatto che il tuo modo di gesticolare e’ simile a quello del tuo fratello di sangue (se ce l’hai) o dei tuoi genitori. E quello e’ solo vostro, alla fine solo tuo. Chi ti legge cerca quello, il tuo stile (che naturalmente non e’ separato dal contenuto, come non esiste il tuo gesto senza il braccio che lo fa, o la tua smorfia senza la carne della tua faccia). Qualcuno si “muove” meglio di altri e per cui e’ piu’ bello da guardare (da leggere) e per cui ha piu’ “successo”? Qualcuno e’ persino intrinsecamente piu’ bello? Be’, e’ talmente ovvio che non l’ho nemmeno segnalato. Rientra nei casi in cui, dopo l’invidia, ci sta un bell'”amen”. Al massimo otterrai cio’ che puoi ottenere, esplorando te stesso e le tue possibilita’, e va bene cosi’. “Renderci interessanti” e’ un altro caso secondo me di incomprensione terminologica: non intendevo “suscitare interesse”, il mio accento e’ sul verbo non sull’aggettivo: mettersi apposta il vestito buono e impostare la voce da tenore pensando di essere sul palcoscenico. Non dico che un po’ non sia cosi’ (anzi dico il contrario, dico che i due movimenti, “essere nel discorso e quindi dispersi” e “essere sul palcoscenico e quindi elevati” sono compresenti e forse sono anche i classici due lati della medaglia), dico che se uno “ha di mira” questa cosa, la perdera’ di sicuro. Vendere l’anima (la voce) per 50 o 100 accessi (o anche per 1000: che razza di numeri sono?) e’ ridicolo e ottiene cio’ che si merita, cioe’ la crisi di scrittura. Non penso nemmeno che il blogger “deve riflettere su quanto i propri contenuti trovino spazio, consenso, interesse”. O meglio, puo’ farlo, ma tanto non serve a un tubo. Non e’ da questo lato che si affronta il problema. Sarebbe vero se fossimo pagati e se scrivessimo su comanda (e infatti chi fa giornali si comporta giustamente cosi’, non “esplora se stesso” ma interpreta una richiesta inseguendola, anche se spesso se la inventa). Ma i numeri non sono la nostra paga, non sono il nostro utile, su cui misurarci. Al massimo sono i link, ma nemmeno quello. Nel nostro caso solo noi siamo regola a noi stessi (un “noi” pieno di finestre…). Quindi per cambiare regola dobbiamo cambiare noi stessi, cioe’ cambiare il nostro modo o stile di “entrare nel mondo”, di gesticolare, e nel nostro caso, di scrivere. Ma non partendo dalla fine perche’, ancora, stile e contenuto sono un unico intreccio. Sul tema dell’oralita’, ti segnalo questo: http://www.comzine.it/index.php?sez=derrik e, immodestamente, questo http://falsoidillio.splinder.it/1041608666#13251
      con affetto, georg

    2. Squonk Says:

      BG, hai ragione. A volte mi incaponisco su una parola, e metto in piedi una sega che non finisce più (scusa il francesismo).
      Su una cosa continuo ad essere perplesso: il fatto che “riflettere su quanto i propri contenuti trovino spazio, consenso, interesse” non serva a nulla. Serve a me, a capire quanto siano “condivisi” oppure “interessanti” il mio modo di vedere e descrivere le cose, di spiegare quello che penso e sento. Intendiamoci, un commento come quello che mi fai è una gran ricchezza, lungi da me il disdegnarla. Ma se mi rendo conto che ci sono persone che ogni giorno mi frequentano – pur senza lasciare traccia scritta del loro passaggio – questo mi fa sentire maggiormente parte di una comunità. E’ una comunità che non si crea certamente intorno alle mie idee, ma che trova nel mio blog uno dei nodi della rete che la compongono. Ecco, mi piace la sensazione di esser parte di qualcosa di grande (non necessariamente di enorme): mi fa forse sentire meno solo al mondo, se vogliamo usare una immagine che starebbe bene in una canzone di Michele Zarrillo, Dio mi perdoni.

    3. utente anonimo Says:

      eheheh (scusa, non uso faccine, ma non riesco a stare serio con zarrillo).
      georg

    4. Squonk Says:

      Neanche io, se è per quello. Adesso metto su i Pink Floyd, così mi salvo la dignità.

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