Dove fermano i treni
Andavamo alla stazione di Malles Venosta durante alcune delle nostre domeniche di libera uscita, quando non avevamo nè tempo nè soldi per tornare a Milano. La stazione funzionava solo un paio di mesi all’anno; per il resto, passava la sua vita nella totale inattività , aspettando i treni dell’anno successivo ed accogliendo gente che, come noi, amava i luoghi desolati ed abbandonati.
Era tutto come nei film, oppure negli incubi: porte che sbattevano, finestre rotte, sterpaglia tra i binari, e tutto intorno una sensazione di morte sonnolenta. Noi entravamo, ci sedevamo sotto il porticato, e dimenticavamo il rumore dei sergenti maggiori, degli alzabandiera e dei carri armati.
Leggevamo lo scarno orario delle partenze e degli arrivi, tiravamo qualche sasso, disegnavamo la faccia del telegrafista e del capostazione. Era bello. Almeno per noi. Ci tornammo alla vigilia del congedo; su un foglio a quadretti, una mano teutonica avvisava che, l’indomani, due treni avrebbero ripreso a funzionare. C’era chi arrivava, c’era chi partiva. Noi, quei treni, li avremmo solo immaginati.
Questo è un ricordo dell’estate del 1990, pubblicato anche – ed ancora non mi spiego perchè – su un vecchissimo numero cartaceo di Diario. Il titolo era un altro, ma non sono un poeta come Luciano Ligabue. Sono un marketing manager…