Binari
Negli ultimi anni, ho preso l’aereo con una certa frequenza. Non da pendolare dei cieli, ma insomma.
Mi piace volare. Mi piace, se posso, arrivare in aereoporto con un po’ di anticipo, e sedermi a guardare i passeggeri che arrivano.
Mi piace sedermi vicino al finestrino, e riempirmi di quotidiani, e leggere quei libri che a casa non ho nemmeno tempo di aprire (in effetti, c’è una sezione della libreria di casa dedicata ai “libri da viaggio”: da 350 pagine in su, vanno bene), e rendermi conto che a diecimila metri di altezza splende sempre il sole. Cose così.
Ma non riesco a togliermi la brutale nostalgia del treno. Le stazioni, l’odore che vi si respira, la ritmica dello sferragliamento, il poter guardare nelle finestre delle case di Lambrate, il poter guardare il paesaggio che cambia senza il timore di staccare lo sguardo dalla strada che ti viene quando guidi, l’infantile sensazione di “viaggiare davvero”, e la sottile malinconia nella quale è bello crogiolarsi per qualche ora.
La più bella vacanza della mia vita: ottomila chilometri di treno grazie all’Inter Rail, tra operai belgi, studentesse tedesche, famiglie britanniche, dormendo nelle stazioni e rincorrendo vagoni in piena notte.
Altri tempi. Questo pomeriggio, invece, mi tocca Malpensa.