Perle ai porci
Si dice così, no? Un dono prezioso a chi non sa, non è in grado, non vuole apprezzarne il valore.
Capita a tutti, a volte si vestono i panni del donatore, altre quelli del pur simpatico suino grufolante. A volte è inevitabile, altre un po’ meno.
Se mi avvicino ad un porcile, armato di perle lisce e luccicanti, e vi getto quel ben di Dio, posso poi stupirmi del fatto che non venga apprezzato? Hm. In qualche modo, me la sono andata a cercare.
Se entro al Bar Mario e mi metto a parlare di filosofia con chi discetta di gnocca (mi si passino i francesismi, questo e quelli che eventualmente seguiranno), il meglio che mi può capitare è di trovare un Hegel in fieri che di solito si trastulla con la Juve e Jenna Jameson; e costui, probabilmente, si sentirà talmente in imbarazzo (la vergogna della “cultura”) da voltare lo sguardo e mimare con ancor maggiore trasporto come tratterebbe Jenna e le sue colleghe.
Insomma, in generale ci vuole un po’ di coerenza tra contenitore e contenuto. Sapere con chi si parla, ed adeguare di conseguenza la comunicazione, è una di quelle regolette che a noi poveri markettari ci inculcano fin da piccoli: ma oggi, che non son più studentello, capisco che è puro e semplice buon senso. Banale, trito e ritrito, ma non per questo meno valido.
Ecco perchè – ahi, quanto me ne dolgo – non riesco ad essere d’accordo con questo: “Porto già una maschera tutto il santo giorno, mi adatto a far conversazioni trite, a sorridere, a oliare i meccanismi di rapporti di convenienza, a parlare come magno, ma quando torno a casa o quando scrivo sul blog, no. Qui voglio essere me stessa, prendere o lasciare. E non dico “qui” in senso stretto. Dico: anche su Gnu“. No, secondo me non funziona così, se si è consapevoli che ciò che si sta scrivendo mal si adatta al luogo in cui si sta scrivendo.
Sbaglio?
Herzog, Shangri-La, GnuEconomy