Lì nel mezzo
Di fronte alle questioni televisive, si formano spesso due scuole di pensiero (debole, ça va sans dire): da un lato, coloro che, avendo ormai perso ogni tipo di fiducia tanto nel mezzo quanto nei suoi conducenti, rubricano tutto come un segno della decadenza dei tempi, e si augurano sconquassi capaci di riportare contenitore e contenuto ai bei tempi che furono: nobili, austeri, persino un po’ bigotti, certo sempre migliori di quelli odierni, smandrappati quant’altri mai.
Dall’altra parte della barricata stanno sia coloro che, attribuendo allo strumento (flat screen, ventinove pollici) virtù taumaturgiche di spiegazione del mondo, considerano l’analisi dei palinsesti l’equivalente di un trattato di sociologia, sia coloro che, fedeli alla tradizione nazionale che ci vuole divisi e contrapposti in fazioni avverse, son ben contenti di poter appendere al balcone un lenzuolo che recita “io sto con Bonolis” ed avere al tempo stesso un argomento di discussione valido quanto le dimissioni di Moratti, da spendere nella propria Camera Cafè.
Io, come sempre, tendo a stare nel mezzo: delle risse tra miliardari tendo a fregarmene bellamente, sentendomi quasi insultato tanto da quelli che credo essere i secondi fini delle risse medesime, quanto dallo straordinario spazio a loro dedicato; dall’altro, ho la sensazione (di questo si tratta, non ho ancora letto ponderosi tomi al riguardo) che davvero capire la televisione serva a capire (un po’) il mondo, e non mi va di fare lo snob che si ritira sull’Aventino – o a Capalbio, se va ancora di moda.
E così, mi trovo a fare il voyeur, a sbirciare qui e là, per non sapere troppo e per evitare di non saperne nulla. Ecco, se qualcuno volesse psicanalizzarmi, oppure semplicemente farmi sapere che sì, siamo in tanti in mezzo al guado (e fors’anche al guano), beh, che si faccia avanti. Grazie.