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31/08/2004
Ieri sera sono andato alla Festa de l’Unità, per sentire Enrico Deaglio ricordare Enzo Baldoni.
Tanta gente, per davvero. Mi sono seduto aspettando, ma non sapevo bene cosa. Un ricordo umano? Un racconto professionale? Storie di redazione, aneddoti sull’uomo, lacrime, risate? Non so, forse un po’ tutto questo.
Ma poi, i dirigenti ds milanesi hanno fatto del loro peggio [1], con le loro tirate politiche, la freddezza e l’asetticità delle loro parole (memorabile Franco Mirabelli: “concordo pienamente con quanto ha dichiarato oggi il segretario del mio partito”, roba che Baldoni lo avrebbe fanculeggiato davanti a tutti, credo), e Deaglio ha esordito dicendo “Beh, io Baldoni lo conoscevo poco” e poi si è limitato a ripetere la ricostruzione dei fatti già pubblicata in ogni salsa.
Quando il microfono è passato in mano ad una signora dall’aria di professoressa impegnata ma ormai in pensione, che ha cominciato a dire “tutto questo ci deve far pensare, ci dobbiamo ritirare dall’Iraq” e dal fondo le gridavano “voce!” e lei “scusate, è che non sono abituata”, ecco, lì ho capito che di Baldoni non avrei saputo nulla (e nulla avevo saputo fino a quel momento), che molta gente era in sala solo per sentirsi ripetere ancora una volta “via dall’Iraq”, che la serata era nata male e per non farla finire peggio avrei fatto meglio a spostarmi di cento metri e farmi un giro in libreria.
In effetti, sono riuscito a trovare I quarantanove racconti a quattro euro, ed è stata la cosa migliore della serata.
[1] Non che l’informazione aggiunga o tolga qualcosa alla cronaca, ma il sottoscritto vota DS – turandosi più o meno forte il naso – da quando ha il diritto di infilarsi nella gabina elettorale. E a volte, si chiede davvero il perchè.
30/08/2004
Non che dispiaccia, essere oggetto di tante attenzioni. Però, di fatto, ricevere 60-70 spam-comments al giorno non sta proprio in cima alla top ten dei miei desideri.
Dice: vabbeh, metti su una black list, no?
Ecco. A riuscirci. Perchè il sottoscritto, per la gestione tecnica del blog, si rimette completamente al Master&Commander vicentino, il quale ha talmente tante volte pestato il grugno sulla questione, e con così scarsi risultati, da essersi convertito a WordPress.
E insomma, per il momento me li cancello uno a uno, a manina. Ma tra poco mi romperò le scatole e lascerò lì tutti questi allegri suggerimenti per migliorare la mia vita sessuale. Hai visto mai.
PS – A dire il vero, sto persino considerando l’idea di un clamoroso ritorno su Splinder. In fondo, ho ancora un bilocale con servizi, da quelle parti.
PS2 – E vorrei anche parlare d’altro, di Baldoni, delle Olimpiadi, del lavoro. Ma mi mancano le parole, ecco.
27/08/2004
Io non so se Enzo Baldoni è morto felice come prevedeva. Me lo auguro, come mi auguro che chi gli ha voluto bene trovi in questa sua supposta felicità un minimo motivo di consolazione. Dubito che sia così (ma il discorso si fa troppo lungo, temo), però lo spero.
26/08/2004
A volte, si leggono delle storie che son fatte di particolari così perfetti da sembrare finti.
Il primo atleta a vincere una medaglia d’oro olimpica per Israele si chiama Gal Fridman. Gal è un velista (un windsurfer, per la precisione: ma sotto i cinque cerchi, la categoria è unica: sailing), uno che passa la sua vita in acqua, anzi: sopra l’acqua; e il suo nome, in ebraico, significa “onda”, il che fa sembrare questo ragazzo quanto meno un predestinato.
Ma non è tutto, no. Gal ha una sorella ed un fratello: Maayan e Yuval, “fonte” e “torrente”. Non so perchè, mi rincuora sapere che ci sono ancora posti nel mondo (anche in quello occidentale, di cui Israele fa e si sente parte) dove un padre e una madre chiamano i loro figli onda, fonte e torrente, nomi di cose, immagini, idee. Noi, beh, noi ci teniamo i nostri Paolo, Daniela, Mario, Rossella: e ci teniamo, forse, anche un po’ di invidia.
Athens2004.com, Repubblica.it
Il Luis ha passato una vita sulle rotative del Corriere della Sera; turno di notte, anno dopo anno, chilo dopo chilo.
Chi ha avuto la ventura di vedere le sue fotografie di trent’anni fa, non è riuscito a riconoscerlo. Il metroecinquanta non è aumentato, i cinquanta chili sono raddoppiati. Sarà per quello, che non soffre il freddo: nessuno lo ha mai visto indossare qualcosa di più pesante di un dolcevita di lana, anche in pieno gennaio, quando gli aficionados della sala sono costretti dal freddo a sopportare la moglie e le soap per venti minuti supplementari che sono eterni come il mutuo, o come il conto che il Marco tiene sul quaderno sotto il registratore di cassa.
Il Luis è un vento allegro che passa sui tavoli della sala; da quando ha minacciato di morte il venditore della Folletto che gli suonava il campanello di casa almeno una volta alla settimana, riesce a dormire cinque ore filate al giorno. Non è tra i primi ad arrivare ai tavoli, ma non gli importa di dover aspettare delle mezz’ore prima di poter prendere la stecca in mano, costretto a guardare gente che sarebbe degna, al massimo, di passargli il gesso sul puntale. Mangia un panino, legge il giornale che lui stesso ha stampato quindici ore prima, ride e scherza in un milanese che neanche Carlo Porta, e al Gino verrebbe uno schioppone se venisse a sapere che il Luis mica è nato a Milano, e neanche, chessò, a Bareggio, ma in un paesino delle Marche.
Quando si stende sul biliardo per un giro e messa, il Luis sembra una balena spiaggiata: ma della balena ha la stessa grazia e dolcezza. Ha un tocco lieve anche quando tira di tutto braccio, i birilli cadono come coperti da un’onda di acqua di mare. Io, di solito, gioco sul secondo tavolo, quello di serie B, quello degli aspiranti e di quelli che non parlano milanese: dal Luis non ho nulla da imparare, perchè puoi studiare il taglio a tenere e il mezzo colpo, ma non certo la leggerezza. Spesso incrocio la stecca con il figlio del Luis, e glielo vorrei dire che suo padre, lì dentro, viaggia una spanna sopra tutti gli altri per motivi che non hanno a che fare con la teoria del diamante o con i puntali in lega, bensì con la vita: ma un figlio che sta lavorando per diventare più bravo del genitore, un giorno dietro l’altro a impilare tre sponde e garuffe e sfacci per poi presentarsi al tavolo ed avere la soddisfazione di mandare il padre alla cassa a pagare il conto, un figlio così non ha nessuna voglia di sentire la celebrazione delle virtù paterne. Così, sto zitto; tra un colpo e l’altro, mi passo un po’ di saponaria sulla mano, e butto un occhio verso il Luis: non imparo, certo; ma mi diverto e mi rassereno, e mi pare che non sia poco.
25/08/2004
Lo scrivo guardandomi allo specchio (è una metafora, zucconi: e comunque, sono capace di scrivere a dieci dita senza guardare la tastiera): una delle virtù che più ho apprezzato di Cadore e Carnia è la scarsissima quantità di milanesi presenti.
24/08/2004
Percorrere i cinque chilometri finali che dividono Misurina dall’attacco dei sentieri che portano alle Tre Cime di Lavaredo (“le treccine”, secondo mia figlia), e trovare parcheggio in loco, costa venti euro. Prezzi da coiffeur, appunto.
23/08/2004
Ci siamo tutti? Quasi?
E allora, via.
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