Saranno i ricordi della più bella vacanza della mia vita, sarà il terrore che mi prende all’idea di affrontare certi tratti delle autostrade italiane, sarà il desiderio di cambiare mezzo dopo qualche migliaio di chilometri guidati durante le ultime settimane, ma continuo a provare un fascino masochista per i viaggi in treno.
Masochista perchè ci sono pochi luoghi tristi come la sala d’attesa della stazione Centrale di Milano, perchè l’aria condizionata sull’Intercity per Mestre non funziona, perchè già nei primi cinque minuti di viaggio ci si imbatte in una teoria di lenzuola stese ad annerirsi sui balconi di Lambrate e di vetri rotti nei mille edifici di proprietà di Trenitalia che costellano i binari per chilometri e chilometri, perchè il treno parte già in ritardo e certo non lo recupera(così ti metti il cuore in pace da subito: la coincidenza è persa e morta lì), perchè la sala d’attesa di Mestre chiude – insieme a tutti i bar dei tre chilometri quadrati circostanti – alle dieci di sera (e va bene che adesso fa caldo, ma il viandante notturno invernale a Mestre cosa fa, accende un falò tra il binario 2 e il binario 3?), perchè i tuoi compagni di viaggio sono un branco di bizzarri soggetti all’interno del quale si distingue una signora che veste una collana di perle che neanche nei film dei telefoni bianchi ti è mai capitato di vedere e racconta che ha servito per tre volte la moglie di quello lì, ma chi è? è uno importante? come si chiama… Murdoch? ma non dirmi, fa quel lavoro lì?, perchè a Mestre alle sei del pomeriggio capisci finalmente il significato dell’espressione bolgia-dantesca, perchè c’è sempre un altro perchè e nonostante questo l’anno prossimo ci cascherai ancora.