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    13/09/2005

    Reazionario anch’io

    Filed under: — JE6 @ 17:31

    (…) perché poi, parliamoci chiaro: i patti di unione civile vanno fatti – subito, urgentemente, come primo atto di un governo di centrosinistra – soprattutto perché esistono le coppie omosessuali; e perché, per motivi di opportunità politica, religiosa, di costume ecc. ecc. non si vuole concedere agli omosessuali il diritto di sposarsi come gli etero. Per gli altri, per le coppie etero, il patto di unione civile esiste già: si chiama, appunto, matrimonio civile. Non è sacro, non è indissolubile, è solo un meccanismo con cui lo stato prende atto che due persone stanno insieme e garantisce loro un pacchetto standard di diritti e doveri. Dice: ma ci sono sempre più coppie che convivono senza sposarsi. Embè? Padronissime. Vuol dire che, appunto, non desiderano certificare davanti allo stato questo loro rapporto. Esistono altri modi: le scritture private, per esempio. I terzi deboli – i figli – sono comunque tutelati. Come dite? Siete adulti eterosessuali, vorreste che la vostra coppia fosse tutelata, ma il concetto di matrimonio? E che, io Stato devo tener conto delle vostre paure da ragazzini invecchiati? Devo farvi il matrimonio hard, quello light, quello con filtro e quello senza?
    Miic
    PS – Il grassetto è del sottoscritto.

    23 Responses to “Reazionario anch’io”

    1. dado Says:

      il discorso non regge. matrimonio civile riguarda solo uomo e donna, lasciando fuori tutta una serie di casi. inoltre non è indissolubile ma costa scioglierlo…ecc…

    2. Ja Says:

      Chapeau.

    3. AdRiX Says:

      Mi sono reso conto che su sta cosa ho voglia di farci un post!

    4. pm10 Says:

      pacs alla francese. hanno un senso molto piu’ ampio del matrimonio.

    5. miic Says:

      manca un “vi spaventa” dopo “il concetto di matrimonio”. uhm…avrò esagerato? 🙂

    6. b.georg Says:

      ma scusi Sir, ma se due sono stati assieme secoli e non si sono sposati, e va bè, ora emerge un problema (che ne so, morte, figli, soldi, separazioni, faccia lei), dobbiamo risolverlo sensatamente questo problema – cioè usando criteri di razionalità, buon senso e buon cuore – oppure siccome loro sono stati cattivi cicca cicca li lasciamo nella merda? Ma le pare un buon ragionamento? Il matrimonio civile non nasce per un’ansia di decretare una “crescita psicologica o morale” (stabilita da chi e con quali criteri?), ma semplicemente perché è comodo per lo stato avere i nomi certi dei contraenti per spedire agli indirizzi giusti e la data d’inizio come prova davanti a un pubblico ufficiale. Se – se, non mi sono ancora informato bene sulla disciplina specifica dei pacs – si può risolvere lo stesso problema in altro modo, allo stato non deve importare (e di fatto mi creda non gli importa) un fico di ciò che io o lei o consideriamo maturo o immaturo, ma come detto solo dei nomi e del loro reciproco e consenziente rapporto, che comporta di per sé delle conseguenze. E non le comporta perché è stato regolarizzato davanti allo stato, ma è stato eventualmente regolarizzato perché in sé le comporta: disciplina dello stato democratico contro discplina dello stato assoluto. Lo stato non è un’entità etica, a meno che non si chiami Iran. Cioè, lo stato è una funzione e un’articolazione di ciò che lo fonda – le relazioni reali che si articolano appunto in autogoverno e in potere costituente e in leggi – e non il contrario, almeno dalla caduta delle monarchie in europa e dalla rivoluzione americana in avanti (ok, sto tromboneggiando un po’, faccia finta di niente)

      Se poi c’è anche un retropensiero di tutela degli omosessuali, be’, meglio ancora

    7. Squonk Says:

      Allora, puntualizziamo. Due sono stati assieme secoli e non si sono sposati; bene, immagino che sia una loro scelta. Emerge un problema? Si subiscono le conseguenze della scelta precedente, come in mille altri casi della vita: non c’è (da parte mia, ovvio) nessuna considerazione di tipo morale o etico nei confronti di quella scelta, ma la semplice presa d’atto che se ne poteva fare una diversa senza con questo sentirsi vittime di uno stato assoluto o teocratico.
      Per chiarire meglio: il grassetto alla chiusura del post di Michele viene ancor meglio spiegato dall’autore stesso con queste parole: provocavo sì. allora aggiungo: il matrimonio civile va reso più facile da sciogliere (come ha fatto, appunto, Zapatè). allora vabbè, i pacs vanno fatti urgentemente per mille motivi, ma venire incontro alle povere coppie di fatto che non vogliono sposarsi perché gli fa impressione non è, diciamo, il motivo principale. Tutto qui. E non ditemi che si tratta di una casistica limitata, perchè sapete che non è vero.

    8. b.georg Says:

      mi pare proprio che lei non colga il punto. il matrimonio civile non è un’istituzione scesa dal cielo ed eterna, è una soluzione trovata ad un certo punto per un problema specifico (i diritti reciproci all’interno delle relazioni affettive che danno luogo a “famiglie”), al quale nulla vieta di dare altre soluzioni. la “scelta” che lei imputa non attiene a tali diritti reciproci, che derivano già dall’unione e non dalla sua regolarizzazione – ma alla modalità di tale regolarizzazione, cioè di presa d’atto dello stato. se lo stato può prenderne atto diversamente – e ovviamente può – il problema nemmeno si pone. Lei trasforma in Ente una mera procedura tecnica (e sul perché tale procedura sia oggi in relativa decadenza ci sarebbe da dire qualcosa di più serio che non “paure di ragazzini invecchiati” – mi perdoni, una cretinata – relativo alla decadenza dei rituali tradizionali e sostituzione con rituali seriali e tante altre cose, che non si possono decidere a priori dal tribunale della morale)

    9. b.georg Says:

      si è mangiato un mio commento accidentaccio

    10. b.georg Says:

      mi spiego meglio scusandomi della sbrodolosità

      il matrimonio civile è una procedura che ad un certo punto si è deciso essere valida per regolare un problema di diritti che attenevano ai singoli e alle loro relazioni reciproche in termini di “famiglia” e che i contraenti non desideravano – per motivi esterni lì irrilevanti – regolare nel modo tradizionale del matrimonio religioso, diritti che non dipendevano di per sé dalla regolazione statale, che solo stabiliva il modo in cui formalizzarli (con un atto contrattuale dalle caratteristiche tipiche dei contratti, le cui principali sono l’identità dei contraenti, la data di formalizzazione e l’ufficiale a testimonianza). Se lo stato può trovare – e può farlo, pare – un altro modo di regolare lo stesso problema – che è essenzialmente un problema di certezza sulle parti, e non di attribuzione di diritti dall’esterno – senza ricorrere a forme contrattuali, la questione non si pone nemmeno.

      in altri termini, le faccio una domanda in generale: è lo stato a conferire i diritti ai cittadini attraverso il loro transito in apposite procedure di iniziazione, o sono i cittadini che, già titolari di diritti definiti attraverso l’espressione del loro potere costituente o desumibile da quello, conferiscono allo stato la capacità di amministrare e regolare tali diritti? Perché se è la seconda, i cittadini conferiscono altresì tale capacità allo stato sottomettendo la sua opera di regolazione non all’arbitrio, ma a criteri che di nuovo essi stessi determinano, cioè ai modi più opportuni in cui essi ritengano debbano essere regolati i loro diritti reciproci – quindi con la conseguenza, che è ciò che qui ci interessa, che tali modi possono essere modificati e sostituiti nel tempo da altri giudicati più opportuni o migliori per regolare i medesimi diritti (procedura di formazione delle leggi attuata attraverso una rappresentanza eletta a tempo dai cittadini).
      E non è proprio questo il caso, laddove si è mostrato evidente che il matrimonio civile è una forma di regolare i diritti reciproci nelle famiglie troppo poco efficiente, perché lascia fuori coloro che non desiderano (per motivi esterni qui irrilevanti) utilizzare forme rituali pubbliche. Quei diritti insomma ci sono – o dobbiamo pensare di no? – ma non possono essere tutelati. Ergo il sistema procedurale escogitato a suo tempo è da integrare.

      In altri termini ancora, domandando nel particolare: se due stanno assieme, vivono assieme e hanno figli, la loro relazione configura già di per sé un pacchetto di diritti reciproci? (che lo stato, cioè la forma procedurale e la struttura amministrativa conseguente in cui i cittadini hanno deciso debbano essere amministrati di volta in volta tali diritti, regola secondo criteri decisi dai cittadini stessi). Oppure tali diritti esistono solo previa sussunzione di tale relazione dentro lo stato, il quale fornisce loro diritti che prima non avevano?

    11. Squonk Says:

      [Non mi chieda perchè, WordPress impone che i suoi commenti siano soggetti ad approvazione – lei è un brutto ceffo, in effetti]
      Guardi, non mi sfugge che dietro alle procedure ci sono, a volte, visioni del mondo, e che quindi una procedura può avere un qualche tipo di contenuto etico/morale. Ma lei complica eccessivamente la faccenda. Esiste una procedura, chiamata matrimonio civile, che si distingue da quello religioso proprio anche per una assenza di contenuti sacrali. E’ una certificazione della propria condizione civile (non necessariamente affettiva, a ben vedere) nei confronti dello Stato, e quindi del resto della comunità di cui si fa parte. Non ci si vuole assoggettare a quella procedura? D’accordo, io ne prendo atto, non discuto. Ma questo non mi toglie la sensazione che ci sia non poca gente che chiede certificazioni e garanzie forti dei propri diritti sociali a fronte di unioni personali sempre più “light”. E’ un segno dei tempi? Forse. Forse nel senso che c’è tanta gente che ha davvero paura, sia dei legami con gli altri (e fin qui, niente da dire), sia della navigazione nel mondo, il che mi preoccupa un po’.

    12. b.georg Says:

      scusi, ma quelli che si sposano in comune, perché non lo fanno in chiesa? Perché non gli stanno bene i contenuti “sacrali”. Per un religioso è un brutto segno dei tempi. ma si adegua, bontà sua. Poi ci sono altri cui non sta bene il contenuto “contrattuale”. Per il sindaco è un brutto segno dei tempi. Ma si adeguerà, bontà sua. Ciò non toglie che – questo è il punto che continuo a porre ma lei anguillesco svicola – o i diritti ci sono prima – cioè dipendono dal potere costituente quindi in ultima analisi risiedono nei cittadini che si costitiscono come tali – o non può essere lo stato a tirarli fuori dal cappello (almeno lo stato come lo si intende a queste latitudini). Lo stato decida solo come garantirli bene e per tutti.

    13. Squonk Says:

      Non svicolo, adesso ho capito meglio il punto. E svicolo davvero, perchè non ho le idee del tutto chiare. Sarei portato a pensare che i diritti esistano “prima”, siano – per così dire – in certa misura “naturali”. Al tempo stesso, le confesso che il diritto naturale mi inquieta non poco, e preferisco pensare che l’evoluzione legislativa di un paese derivi da una riflessione condivisa, ed eventualmente soggetta a determinazioni a maggioranza. ça va sans dire, dietro tutto questo vi è l’idea di stato, e di come lo si intende a queste e in altre latitudini, come lei giustamente ricorda.

    14. papi Says:

      Questo post tocca nervi scoperti, Sir. Sono divorziato dal secolo scorso e sono convinto che lo scioglimento del matrimonio non deve essere facile. Un matrimonio coinvolge mille persone: parenti, figli, amici ecc. e la separazione è un trauma per tutti. Mi sono sposato affermando con forza ed esplicitamente che per nessun motivo mi sarei separato. Analoga promessa ho chiesto alla futura moglie. Ho un pessimo carattere, è vero, ma avevamo convissuto per 5 anni e non poteva non saperlo. Eppure dopo 10 ulteriori anni, due figli e una fattoria affermò: io con quest’uomo non voglio più vivere. Non c’erano amanti, non bevevo, non picchiavo. Ero un padre/marito decente. Fece i suoi conticini e decise che con me non voleva più vivere. Era un contratto indissolubile e andava rispettato. Io l’avrei rispettato nella buona e nella cattiva sorte? Così dicevo/dico. Oggi non siamo più felici o infelici. Io non mi sono più sposato. Ho perfezionato il more uxorio. Non pretendo assolutamente che lo Stato o chiunque altro mi tuteli. Ci mancherebbe. Mi sembrerebbe di chiedere tutela per qualsiasi altro genere di morale creativa. Tutto questo sproloquio per dire che quando, mio malgrado, mi metto nei panni di un gay che chiede di essere tutelato non trovo motivi validi per negargli questa possibilità a priori. Io ho potuto scegliere. Perché lui no?

    15. Squonk Says:

      Ma chi mai dice che non debba scegliere? Ma ci mancherebbe. E infatti ho quotato Michele, che scrive “i patti di unione civile vanno fatti – subito, urgentemente”. Io parlo di un’altra cosa, che è più una sensazione, come ho cercato di spiegare nel penultimo commento.

    16. sphera Says:

      A me, molto più modestamente, basterebbe essere pienamente tutelati come individui, tutti, comunque e a prescindere. Il che non è. Ritengo che le mie coppie – o terzetti o quadrilateri o famiglie allargate o meno – siano affari miei.
      (Peraltro, secondo il diritto di famiglia attualmente vigente i figli riconosciuti nati al di fuori del matrimonio hanno, già ora, gli identici diritti degli altri. Quanto all’eredità, nulla vieta a nessuno di lasciare tutti i suoi averi a chichessia, fosse pure un cane o un cavallo, senza bisogno di sposarlo prima. Così come, del resto, ogni genere di accordo sui beni o su quant’altro può essere liberamente preso con scrittura privata e avere perfettamente valore legale)
      Quel che intendo è che, a me che mai mi son sposata né sposerò tutta sta faccenda sembra del tutto risibile. Ma è un discorso lungo, troppo da far qui, mi scusi la prolissità, Sir.

    17. miic Says:

      scusate, chiarisco. ho calcato un po’ la mano, ma intendevo dire: se un patto deve fornire (a una coppia etersessuale) diritti come la successione, la casa, persino la decisione sullo staccare la spina o meno al momento della morte, chiamarlo Pacs invece di matrimonio mi sembra solo un esorcismo nominalistico (che io, ribadisco, condivido). mi pare anche che la dose di responsabilità o maturità richiesta dallo stato sia quanto meno pari. cosa vogliamo risparmiare? cinque minuti davanti al sindaco? se si tratta di tutele, allora che so, facciamo una legge che permetta di ricostruire a posteriori (attraverso bollette, testimonianze, autocertificazioni) la convivenza more uxorio. tra l’altro, quando cambi residenza gli uffici del comune ti chiedono già adesso in che rapporti sei con gli eventuali conviventi.

    18. American Beauty Says:

      Di fatto e di diritto

      Come blogghista sono un po’cacasotto. Tutte le volte che…

    19. lester Says:

      Evviva evviva, mi ha funzionato il trackback!

    20. Dust Says:

      la frase “paure da ragazzini invecchiati” si piazza molto in alto nella mia personalissima classifica delle idiozie gratuite e rivela una visione dei rapporti interpersonali di livello preadolescenziale: chi partecipa a una coppia di fatto è ovviamente un radical-chic col mito dell’amore libero, allergico per snobismo ai noiosi legami tradizionali, salvo accampare poi piagnucolose pretese di pari diritti quando è il tempo della dentiera e della tintura per capelli (se li ha ancora). Trovo avvilente – a parte il retrogusto reazionario/clericale di tutta questa faccenda – che predomini l’idea di uno Stato che definisce le forme di convivenza “accettabili” e non quella di una comunità che modifica le proprie leggi per tenere conto di mutamenti nei rapporti che ne regolano “di fatto” organizzazione e convivenza. Ragionamenti di forma analoga li ricordo ai tempi delle campagne su divorzio e aborto

    21. miic Says:

      dust, probabilmente sono un idiota reazionario e sicuramente sono un ragazzino invecchiato. però hai ragione: se una quota rilevante della popolazione preferisce andare cinque minuti in comune a firmare una cosa che si chiama pacs, piuttosto che andare cinque minuti in comune a firmare una cosa che si chiama matrimonio, uno stato democratico ha il dovere di darle questa possibilità; e non sarò certo io a negargliela. ma come prima c’era gente che non voleva sposarsi, resterà gente che non vuole pacsarsi, e soprattutto gente che non può, magari perché l’altro si rifiuta; tutelare queste situazioni “di fatto” che non riescono a farsi “di diritto” mi sembra un dovere altrettanto urgente per uno stato democratico, pacs o non pacs.

    22. Carlo Says:

      Io invece sarò un idiota invecchiato o un ragazzino reazionario ma non ho capito una cosa basilare: che vuol dire che l’altro si rifiuta?

      “Tesoro, sposiamoci”
      “No, mi rifiuto”

      “Allora almeno pacsiamoci”
      “no, mi rifiuto”

      a questo punto dovrebbe partire un vaffanculo, credo.

    23. Dust Says:

      dal punto di vista di una coppia etero – così almeno la vedo io – non stiamo parlando di regolare i rapporti interpersonali. Prendiamo la mia situazione (coppia con due figlie 13/18 anni): non ci è mai interessato regolarla “contrattualmente”, il che ovviamente non significa che non ci siano accordi e progetti comuni. Quello che vorrei fosse tutelato allo stesso modo che per gli altri cittadini sono i nostri diritti nei confronti di terzi, che so, l’INPS, o la banca che ci ha concesso un mutuo.
      Più in generale mi pare evidente che ci siano “forme di convivenza” o anche solo “di organizzazione dell’esistenza” non più incasellabili a forza nelle strutture canoniche della famiglia e sicuramente penalizzate da normative, prevenzioni e diktat confessionali. Penso ai molti separati e divorziati con figli che ho attorno, ad esempio.
      Per Carlo: a parte il vaffanculo, che mi parrebbe un’opzione da prendere seriamente in esame, si può seguire un profilo basso e proporre “Almeno restiamo amici”

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