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    09/01/2006

    Il dipendente

    Filed under: — JE6 @ 10:12

    In principio fu Beppe Grillo: i politici sono nostri dipendenti, diceva e scriveva ogni volta che ne aveva occasione. E quindi, devono fare ciò che gli diciamo: non è forse questo, il vero significato della parola “democrazia”? Potere del popolo, esercitato pro tempore e su mandato da alcuni soggetti, in nome e per conto di molti altri.
    Poi, però, quella posizione è stata fatta propria da altre persone, solitamente – per stile personale e per ruolo sociale – più misurate e meno tribunizie di Grillo nell’espressione delle loro opinioni. Salvatore Bragantini, ad esempio: ex commissario Consob, amministratore delegato di Centrobanca, editorialista del “Corriere della Sera”, proprio sul foglio di via Solferino ha scritto, riferendosi ad Antonio Fazio: “sarebbe giusto dire una parola di verità, oltre che al prevosto, anche agli italiani, dei quali era un dipendente”.
    In sè, l’idea non è nè nuova, nè intrinsecamente del tutto errata. Però, abbeverandosi a queste fonti, il palato avverte retrogusti di demagogia e populismo che lasciano perplessi. Ci si lamenta a ogni piè sospinto dell’inadeguatezza della classe dirigente nazionale, ma al tempo stesso si derubricano concettualmente i suoi componenti a meri esecutori, dai quali si pretende solo zelo e onestà. Non che queste siano prerogative trascurabili, ma ci si chiede se questo paese, a destra come a sinistra, vuole davvero avere dei leader, con i quali avere un rapporto dialettico ma ai quali lasciare onori ed oneri di scelte autonome, possibilmente originali e frutto di una visione del mondo e del futuro.
    L’esperienza insegna al cittadino italiano che troppo spesso la classe dirigente, e quella politica in particolare, riesce ad agire senza accollarsi le dovute responsabilità; ma la diffidenza che fa parte del patrimonio genetico nazionale non giustifica il considerare chi dovrebbe essere e fare il leader della comunità alla stregua di un travet dalle-nove-alle-cinque: di Fantozzi ce ne basta – e avanza – uno.

    10 Responses to “Il dipendente”

    1. Effe Says:

      “Lei è un dipendente della televisione pubblica, si contenga!”

    2. luponti Says:

      Qualificare un funzionario pubblico come “dipendente” del popolo è un errore concettuale: quale che sia il titolo giuridico (elezione, nomina in seguito a concorso, nomina discrezionale dell’Amministrazione), il funzionario è innanzitutto il soggetto investito del compito di gestire un interesse pubblico, in conformità con le leggi e le altre fonti normative applicabili al settore, nel quale agisce. Egli risponde non già per non avere corrisposto alle attese della pubblica opinione, ma per non avere osservato i doveri inerenti alla sua funzione.
      Il resto è demagogia di bassa lega, che sta bene in bocca agli arruffapopoli (molto meno in bocca a chi tiene rubriche sul Corrierone … ormai Corrierino?).

    3. Q.lla Says:

      Ma perché cacchio non mi prende i commenti?

    4. Gilgamesh Says:

      Parzialmente d’accordo, anche col commento sopra.

      È vero che un funzionario pubblico nominato in seguito a concorso o discrezionalmente è un “dipendente del pubblico” solo in senso lato, in quanto i suoi doveri sono regolamentati e risponde del suo comportamento solo in termini di violazioni di detto regolamento, ma nel caso delle cariche elettive, e in particolare quelle amministrative, il dovere non solo morale di rispondere del proprio operato a tutto il pubblico (e non solo al proprio elettorato, come sciaguratamente sostiene il Giovannardi) o se preferiamo chiamarlo così al “popolo”, è sancito dalla costituzione.

      Quanto al “confondere” dei “leader” con dei “travet”, Sir, mi perdoni, ma è decisamente preferibile all’arroganza di una classe che di dirigente ha ben poco, e restituire un po’ di umiltà a chi pensa di aver ricevuto col mandato elettorale una sorta di salvacondotto ai privilegi e agli emollumenti che la carica comporta, scordandosi della contropartita in termini di servigi (si chiamano proprio così, anche giuridicamente), non mi pare affatto demagogico.

      Anzi.

    5. Squonk Says:

      Proverò a spiegarmi meglio. Un dipendente, appunto, dipende. Da qualcuno che, nella scala gerarchica, si trova sopra di lui. Prende ordini, ha un’autonomia decisionale limitata.
      Ora, io non teorizzo minimamente l’irresponsabilità, sia chiaro. Però, quando eleggo qualcuno, lo faccio perchè costui prenda decisioni in nome e per conto mio: talvolta lo farà avendo ben presente i miei desiderata, ma talaltra lo farà (anzi, io pretendo che lo faccia) di testa sua, magari andando anche contro il volere mio e di quelli come me. Perchè dispone di maggiori informazioni, perchè ha un confronto con soggetti con i quali io non entro in contatto e che gli permettono di ridefinire le sue decisioni.
      Diciamo la verità, un leader, uno statista (ma anche un vero buon amministratore) non è uno yes-man: nemmeno nei confronti di chi lo ha eletto, cioè di chi gli ha effettivamente conferito il potere. L’ultima cosa che mi auguro è una dittatura, ma un vero potere del popolo, sul serio, mi terrorizza.

    6. Gilgamesh Says:

      Ecco, Sir, questo mi ricorda quando in Ruanda un missionario comboniano provò a spiegare la democrazia a un capotribù tutsi, circa il rispetto della volontà della maggioranza. composta magari anche di hutu.

      Quello sputò per terra e fieramente rispose: “Questa è la democrazia? Ci piscio sopra! Forse che tre sciacalli possono dettare legge a un leone?”

      E sappiamo com’è andata a finire.

      Un dipendente non è un servo – e qualunque datore di lavoro che lo pensi è un pessimo manager -: dipende nel senso che percepisce uno stipendio in cambio di un lavoro, può anche non essere soggetto ad una gerarchia: anche il presidente della Banca d’Italia, per dire, è incontrovertibilmente uno dei dipendenti dell’Istituto, certo è un po’ speciale, dato che non ha “teoricamente” nessuno sopra di sè.

      Anche il capitano di un’imbarcazione, per usare una metafora cara alla destra decisionista, è un dipendente dell’armatore, se non è proprietario della barca. Eppure.

      Io non ho affatto paura di un vero potere del popolo, perché non penso al popolo bue che probabilmente le viene in mente, quindi invece me l’auguro, un simile “power to the people”, intendendo proprio la “gente”, le “persone”.

      So bene che “idiots overnumber smart people, everywhere”, e conosco abbastanza circa la psicologia delle masse per non credere troppo nell’intelligenza collettiva di milioni di individui.

      Ma vede, proprio sull’Internet ci sono un buon numero di esempi di collettività virtuose: la comunità opensource, ad esempio, o la stessa blogosfera intesa nel suo insieme, aggregatori compresi; oppure venga a farsi un giretto su Wikipedia, versione inglese o italiana, a sua scelta.

      Personalmente, sono contento di essere abbastanza coinvolto in tutti e tre i fenomeni citati, e penso ogni Netizen dovrebbe, anche senza aver letto “Being Digital” di Nicholas Negroponte, non crede?

      E se in tutto questo vede una punta di anarchia, nel senso più alto del termine, beh, ha ragione.
      Richard Stallman è vivo e lotta con noi.

    7. Squonk Says:

      Cosa vuole, io sono molto meno ottimista. Penso al popolo bue, ma penso anche all’ovvia e inevitabile carenza di informazioni “particolari” (oltre, in un buon numero di casi, alla disparità di competenze) che fanno la differenza tra me e lei (cittadini avvertiti e informati) e chessò, Vittorio Grilli o Mario Draghi.
      Ma non è tutto. Ne faccio una questione di principio. Quello che mi infastidisce è il diffondersi (non del tutto immotivato, purtroppo) del populismo demagogico à-la-Grillo: quello che, dato che son tutti ladri e incapaci, uccide la figura del civil servant e, peggio ancora, del leader: di colui/colei, cioè, che sa vedere e progettare ciò che gli altri (anche noi due, cittadini avvertiti e informati) non riescono nemmeno a immaginare. Questa retorica del dipendente ucciderebbe non solo i politicanti di casa nostra, ma anche i Kennedy e gli Adenauer e i De Gaulle e i Blair e i De Gasperi. Altro che Netizen, insomma: Alvaro Vitali.

    8. Gilgamesh Says:

      D’accordo sull’evitare la demagogia populista, che infastidisce anche me: quando è generalizzata si traduce inevitabilmente in becero qualunquismo.

      Ritengo che la democrazia, per quanto imperfetta, resti la miglior forma di governo disponibile per questo mondo imperfetto, quando realmente applicata, anche se non ho la sua fiducia nell’esistenza di leader e statisti “alti”.

      Anche quelli che lei cita, pur notevoli e per certi versi degni di rispetto e perfino ammirazione, non sono esattamente modelli di virtù, nè pubbliche nè private. È inevitabile, intendiamoci, sporcarsi le mani facendo politica ad alti livelli, e anche scendere a compromessi; ma almeno tre dei cinque che cita hanno superato quella soglia tra la ragionevole compromissione e l’abbandono dell’etica in nome della ragion di stato.

      Penso anche che in un futuro speriamo non troppo remoto, la consapevolezza di sè e dei propri diritti e doveri cresca in maniera direttamente proporzionale alla quantità di informazioni libere ed obiettive disponibili, fino a rendere possibili nel meatspace forme di autogoverno responsabile come quelle già sperimentate con successo in Rete.

      You may say I’m a dreamer, con quel che segue.

      Grazie comunque dell’interessante discussione. My pleasure.

    9. Fabio Avanzi Says:

      Sinceramente ritengo che gli ultimi 20 anni di governo ci abbiano fatto dimenticare quello che è il vero ruolo dei nostri rappresentanti.

      Io preferirei la parola RAPPRESENTANTE a DIPENDENTE, solo che facendo bene i conti, di persone che mi rappresentano non ce ne sono proprio.

      E allora ben venga un segno di discontinuità con questo presente. Chiamiamoli dipendenti invece di onorevoli, per ricordagli che devono rendere conto agli italiani delle loro azioni.
      La democrazia viene meno se non puoi trovare nessuno che veramente ti rappresenta e devi scegliere il meno peggio.

      Grillo, con tutti i suoi difetti (che a ben vedere non sono poi molti) mi ispira più fiducia che Berlusconi, Prodi, Casini, Rutelli, Mastella e tutti gli altri della compagnia.

      Spero sia finita l’epoca degli Onorevoli, che di Onorevole hanno davvero poco.

    10. Squonk Says:

      Questione di gusti. Non c’è nessuno dal quale mi sento rappresentato, nemmeno in piccola parte? Non vado a votare (ah, che io non trovi nessuno degno della mia fiducia e che questo significhi assenza di democrazia, mi pare davvero bizzarro). Ma se eleggo qualcuno, non lo considero mio dipendente. I motivi, credo di averli già spiegati.

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