Campioni del mondo
In questi due giorni passati in Germania, molte persone – conosciute o meno – mi hanno fatto i complimenti per la vittoria della nazionale di calcio. Tanti tedeschi (probabilmente per la gioia di non vedere i francesi alzare la coppa), ma anche belgi, olandesi, inglesi.
Sembravano complimenti sinceri, appena venati da quel filo di invidia che in questi casi è tanto inevitabile quanto necessaria. I tedeschi mi parlavano dei festeggiamenti italiani nelle loro città, dei caroselli, delle bandiere, delle trombe; e lo facevano scuotendo solo un po’ la testa ma con aria abbastanza divertita, come per dire “questi pazzarielli di italiani, se non ci fossero bisognerebbe inventarli”.
Ma nessuno mi è venuto a fare le pulci sulla sobrietà della festa, benchè le immagini del Circo Massimo, con annessi e connessi, abbiano fatto il giro del mondo. Nessuno è venuto a dirmi “beh, venticinque anni fa vi siete comportati meglio”. Perchè il fatto è che si comportano tutti allo stesso modo, ci comportiamo tutti allo stesso modo. Vi è capitato di vedere i giocatori di baseball che vincono le World Series, come si riducono? E come si riducono le città americane quando questo capita? Provate a chiedere agli abitanti di Chicago, giusto per farvi un’idea. E gli smutandamenti, le voci rauche, i cori osceni, le vie lastricate di birra e cocci di bottiglia, i presidenti innaffiati, gli occhi fuori dalle orbite: tutta roba nostra e solo nostra? No, lo sappiamo noi e lo sanno tutti coloro che vivono fuori dai nostri confini. Non voglio dire che tutto ciò che si è visto fosse uno spettacolo edificante; ma le forme di espressione di divertimento, gioia, eccitazione, esaltazione fanno parte dei cosiddetti “costumi”, che cambiano con il passare del tempo, in Italia come in Germania come in Francia come in qualsiasi altro paese. Nixon non si sarebbe mai mostrato in braghette e casco da mountain biker come Giorgino Bush, per dire. Si stava meglio quando si stava peggio? Non lo so, forse sì ma non ne sono completamente sicuro. Di certo so che articoli come quelli di Stefano Bartezzaghi suonano tanto come un “qui una volta era tutta campagna”, come l’ennesimo martellamento sugli zebedei di cui, almeno in certe occasioni, davvero non si sente la necessità.
Wittgenstein