A me hanno sempre fatto credere che la politica è l’arte del compromesso. Il significato del termine è chiaro (accomodamento fra opposte esigenze di parti in contrasto che comporta rinunce d’ambo le parti – De Mauro Paravia) e vago al tempo stesso, perchè il valore della rinuncia è del tutto relativo: ci sono problemi rispetto ai quali il signor Rossi riesce, appunto, a scendere a compromesso abbastanza agevolmente e sui quali il signor Bianchi proprio non ce la fa. Niente di male, naturalmente.
Però, i termini della questione cambiano se dell’esistenza del problema la cui risoluzione richiederà necessariamente un compromesso si è a conoscenza in largo anticipo. Cambia la valutazione che si fa del problema, e dei metodi per affrontarlo. Io mi chiedo se i quattro-più-uno di Rifondazione che ieri hanno votato contro il decreto sul rifinanziamento delle missioni militari all’estero, presentato dal governo sostenuto dalla maggioranza di cui da molti mesi sapevano che avrebbero fatto parte, non avrebbero fatto meglio a non candidarsi, proprio per evitare la triste scenetta di ieri. Ma si sa, se la rivoluzione non russa, probabilmente almeno si assopisce. Poi, arriva in Parlamento e si risveglia.
PS – Leggo adesso l’intervista a Paolo Cacciari, il -più-uno di cui sopra. Io, quando vedo qualcuno arrampicarsi sui vetri e – ovviamente – scivolare con stridore di unghie, non riesco a non provare imbarazzo.
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