Schiuma
Bancone di un grosso bar-ristorante-pizzeria-bruncheria di Largo Cairoli [1]. Domenica, tre del pomeriggio. Non c’è il pienone, ma un buon numero di persone sì. Chiediamo due marocchini [2]. Come al solito, offro alla persona corta un po’ di schiuma, che è l’unico motivo per spendere dieci centesimi in più. Mentre beviamo il caffè, dall’altra parte del bancone arriva una mano che vi appoggia una tazzina. Identica alle nostre: ma piena di schiuma. La ragazza sorride, fa cenno con la testa verso la persona corta, poi si volta verso gli altri clienti.
[1] Non ricordo il nome, scusatemi. Siete quelli che hanno preso gli spazi del vecchio night club e della gelateria Viel. Avremo perso due pezzi di storia della città, ma forse ci abbiamo guadagnato.
[2] Come si chiama dalle vostre parti? Parlo di una specie di microcappuccino, servito nella stessa tazzina dell’espresso. A Torino, Dio ne conservi i baristi, ne ho bevuti di magnifici, arricchiti di crema gianduja o di Nutella.
November 21st, 2006 at 09:58
E’ la sua persona corta ad essere irresistibile.
(ah, si chiama marocchino anche da noi)
November 21st, 2006 at 11:20
A Roma è il “macchiato caldo” (ma ogni tanto detto anche “schiumato”). E non vi è sovrapprezzo, se non lo sguardo un po’ scocciato del barista se non ti conosce.
November 21st, 2006 at 12:10
a me sembra che il macchiato caldo sia tutta un’altra cosa, con risp. parl.
November 21st, 2006 at 12:27
Diamine, un marocchino è un marocchino, e non altro.
Si beve nel bicchierino da punch.
Caffè espresso
cacao in polvere
schiuma di latte
cacao in polvere (seconda spolverata)
(una variante apocrifa prevede che il vetro del bicchiere venga preventivamene spalmato di Nutella)
Il marocchino originale viene servito solo qui a Torino.
Gli altri sono contraffazioni da evitare
(nella prossima puntata serviremo il notorio Bicerin)
November 21st, 2006 at 12:35
Herr, descrizione perfetta (il bicchierino da punch e la seconda spolverata di cacao sono le chicche dei veri professionisti). Ho bevuto dei marocchini clamorosi nella zona di Via Cernaia. Del bicerin, invece, feci conoscenza all’Osteria Fiat, per la quale io e svariati altri blogger milanesi le siamo e saremo sempiterni debitori.
November 21st, 2006 at 12:51
Ah quindi quella cosa buonissima che fanno da Lino’s – bicerin (unico nome italianota presente nel loro menu – è dunque un’invenzione torinese…
November 21st, 2006 at 13:10
Eio, se chiedo un macchiato caldo, mi danno un espresso con la schiuma di latte. Manca il cacao, ma lo puoi chiedere. In anni di bar (da una parte e dall’altra), mai sentito chiedere un marocchino. Ma non frequento locali trendy, quelli dove non esiste il chinotto neri né la peroni classica (ma solo il fighetto peroncino) 😉
se d’altra parte chiedi una cosa come quella descritta da Effe, il barista romano medio ti da’ un’occhiata tale che ripieghi immediatamente su un semplice caffé, per paura di ritorsioni.
November 21st, 2006 at 13:16
quel che volevo dire, è che a Roma, il marocchino è rarissimo, per non dire inesistente.
già a Pavia, devi spiegarglielo 😉
November 21st, 2006 at 13:19
Dottor R.O., dal suo commento si evince che:
a) Esiste un chiaro problema di onomastica (voi cornetto, noi brioche; voi pizza al taglio, noi pizza al trancio, talvolta “da asporto” [e questo, lo ammetto, fa vincere l’Urbe a mani basse])
b) Il cliente romano è vessato da baristi incarogniti; il tipico barista sabaudo, benchè normalmente di origini pugliesi o siciliane, si industria senza sollecitazioni per mantenere vive alcune nobili tradizioni della reale città (che, per inciso, ricordo essere suddita del Regno di Sardegna e Piemonte – si noti la successione dei termini) – del barista meneghino si tace per amor di patria.
November 21st, 2006 at 13:40
Egregio Squonk, non si faccia sol question di verbo: è l’individuo che frequenta il bar ad essere diverso. Perché sorbirsi quella minima pozione di cui favella Herr, quando puoi avere un cappuccino fatto secondo crisma?
Semplicità: caffé, o cappuccino? Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem 😉
Ma d’altra parte, si sa che sotto il cupolone è la plebe a imporre costumi alla nobiltà, e non viceversa. (…per fortuna…)
November 21st, 2006 at 13:49
Sull’antropologica diversità, non v’è dubbio alcuno: e infatti, sotto la Madonnina si inventò l’happy hour; voi, o beati, andate di bucatini e abbacchio.
November 21st, 2006 at 14:02
In Romagna è detto “Monte Bianco”, però non c’è il cioccolato, quindi non so se è la stessissima cosa.
November 21st, 2006 at 14:12
noi cuneesi dovremmo un giorno esportar la nostra merenda sinoira (vino pane salame e formaggio, si comincia nel pomeriggio e si va avanti fin che ce n’è): altro che happy hour.
November 21st, 2006 at 14:18
Dalle mie parti (Rimini) lo chiamano Montebianco e in Puglia espressino.
Secondo me la differenza tra un caffè macchiato e il marocchino prima di tutto è la presenza del cacao, soprattutto sotto, e la quantità di caffè. Cioè, io quando ero dietro al banco se mi chiedevano un caffè macchiato/schiumato facevo un caffè normale e riempivo la tazzina con la schiuma, se invece mi chiedevano un marocchino ci mettevo la cioccolata sul fondo, poi la schiuma di latte (possibilmente senza latte) e poi completavo con il caffè. Una cliente mi ha fatto pure i complimenti.
Ah son cose.
November 21st, 2006 at 14:46
Che poi, questo era un post sulla gentilezza e sul marketing delle piccole attenzioni ai (piccoli) clienti.
November 21st, 2006 at 15:46
lo sa bene che i post sono un pretesto per i commenti.
Orbene, il signor Ricambi Originali ha tutta la mia stima.
E tuttavia, il caffè non è, ripeto, non è una questione semplice e sbrigativa, ma complessa, e necessità del giusto tempo e di opportuna contemplazione.
Si consideri infatti questo lungo cammino, che inizia così fin dalla coltivazione, dalla raccolta, dalla tostatura, dalla scelta della miscela (alcuni bar ne offrono molte qualità differenti), il tipo di macchina usata per relizzare l’espresso, la qualità dell’acqua della zona, la temperatura di servizio, lo zucchero (quantità e qualità, per chi non lo gusta nero).
Bere una razzina di caffè significa entrare in un’esperienza collettiva (e figuriamoci con un marocchino, che lì si aggiunge la coltivazione del cacao, la storia della conquista della foresta brasilana da parte dei capitani fazendeiros, e poi Gabriella garofano e cannella)
November 21st, 2006 at 17:25
Dottor Effe, ci si trova davanti al solito bivio: molteplicità orizzontale o verticale, diacronia o sincronia? Nel caffé lei (nello spirito tipico Europeo di cui la Savoia fa dinasticamente parte) vede acutamente la summa di una storia, condensata in quelle poche molecole che il suo concittadino Avogadro così bene studio’. Più a sud, il caffé è pretesto: che sia buono – e deve esserlo, ma soprattutto serve per parlare con gli altri cittadini, compagni nell’assunzione del caffé. Appunto, molteplicità orizzontale, di rapporti sociali che il rito del caffé consente di perpetuare. E dunque le pennellate di colore che il discreto e silenzioso sabaudo (ah, i luoghi comuni…) cerca nel caffé arricchito, ad altre latitudini si trovano intorno al caffé, il quale può a questo punto rifiutare sovrastrutture.
November 21st, 2006 at 17:29
E poi, caro Effe, per sostanziare quello che lei dice: http://www.illy.com/inprincipio/it/Progetto/
November 22nd, 2006 at 09:35
‘Na tazzurella ‘e cafè Tutto ha inizio qui, con la discussione intorno alla corretta preparazione del (non fatevi ingannare: cacao in polvere, caffè espresso, crema di latte , ancora cacao in polvere: il tutto rigorosamente in bicchierin
November 22nd, 2006 at 09:54
A Roma, qualcosa di simile a quello che dice Herr Effe (ma non è un marocchino) lo preparano in un bar a piazza di Pietra (non la Caffettiera, però).
Spalmano il bicchierino di vetro con una crema di cioccolato (non nutella, più densa), poi il caffè, poi la panna (e non la schiuma) e una spolverata di cacao.
Non ricordo come lo chiamano, però (più tardi vado, bevo e riferisco)
November 22nd, 2006 at 09:59
dacché il signor Ricambi Originali è incommentabile (nel senso che il blog non prevede l’opzione) lo dico qui, che le immagini da lui segnalate sono davvero belle, anche se c’è di mezzo lo sponsor di settore).
Riccio, sia gentile;: dopo aver ingollato, riferisca anche a me il nome, così vediamo se si tratta di plagio
November 22nd, 2006 at 11:34
scusate se mi intrometto (del resto voi tre – sir, herr, r.o. – siete tre dei miei uomini preferiti e lo sapete perfettamente), ma non potremmo parlare di sta ragazzina (una delle mie persone preferite) che si slappa un baslotto di crema di latte felice e contenta…? ecco.
/me che si ricorda di quando con la mamma ordinava al bar un latte tiepido con schiuma e cacao.
/fine del momento amarcord
(vi bacio, con profusione d’affetto)
November 22nd, 2006 at 11:51
Lei pensa che “baslotto” possa essere compreso, a sud del Po?
E poi era una tazzina – abbastanza per farla felice, comunque.
November 22nd, 2006 at 12:20
baslotto? siamo seri…
November 22nd, 2006 at 12:37
sono serissima. ne dubiti? 😉
il problema del vocabolario nord e sud non è un problema: è un vantaggio culturale.
il baslotto rende l’idea, è un termine figurativo e onomatopeico, suvvia… un contenitore per portare il riso giallo all’onda (o le trenette al pesto) in tavola è un baslotto, chiaramente. si evince dalla fonetica del termine stesso.
November 22nd, 2006 at 12:47
che poi, che ve lo dico a fa’?
(si potrebbe a questo punto discutere dell’origine e relativa evoluzione del termine “cofana”, ma ve lo evito…)
November 22nd, 2006 at 13:03
cOfAnA, suona pure male
November 22nd, 2006 at 15:02
SignorAuro, ma d’altra parte lei ha mai visto un baricellus con i barbisi che va in buglia alla camuzona?
Se cio’ rientra tra le sue conoscenze personali, allora richieda al De Mauro di inserire anche baslotto.
November 22nd, 2006 at 15:37
Mah, mi pare che qui manchino clamorosamente latitudini più meridionali del Lazio. Per esempio, nel profondo Sud – ovvero dalla postazione da cui scrivo, anzi vivo – non esiste niente del genere. Qui il cioccolato resta una cosa che ti tiravano addosso dai tanks americani, durante la Liberazione. Il caffé è meglio nero. E tanto, anche. A Messina, per esempio, il caffé è sempre “mezzo”. Perché “intero” sarebbe in un bicchiere da granita, roba da overdose. E anche quello freddo (che qui si prende tutto l’anno, mica è roba estiva)(è l’estate, che non è roba estiva, qui) è sempre “mezzo freddo”, per averne una dose accettabile.
Al massimo il caffé può essere corretto, con lo Strega. Ma si deve chiedere “la Strega”, sennò non vale.
November 22nd, 2006 at 16:34
io voglio emigrare in sicilia.
e per la cronaca, da queste parti caffé equo e solidale, possibilmente filtrato, a casa non ho la moka.
al bar vivo di coppie di bustine di zucchero. bianco, semolato.
l’intolleranza al lattosio crudo è dannazione.
augh.
(signor Ricambi Quasi Originali, in realtà mi meravigliavo di lei. per venire fuori dall’impasse comunicativa era sufficiente applicare il g-paradigma jpod… that’s it. vado a preparare il baslotto di melanzane fritte, vah…)
November 22nd, 2006 at 17:01
M.me Brioche ha dimenticato di dire che il caffè in Sicilia (a Palermo, almeno) è “mezzo” anche perché è ultraristretto. Altrimenti viene definito acqua ‘i purpu
Comunque, nell’impossibiità di raggiungere oggi il bar summenzionato, ho chiesto ai colleghi il nome del preparato da me descritto. Lo chiamano “caffè completo” (nessun plagio, quindi, Herr).
November 22nd, 2006 at 20:10
SignorAuro, il G-paradigm vale per i jpodder. Noi per fortuna riusciamo ancora a riconoscer la differenza tra l’arcaismo desueto e dialettale, e l’uso corrente. Il jpodder per definizione non ha storia, ma una RAM: si scarica rapidamente 😉
November 23rd, 2006 at 18:03
“Acqua ‘i purpu” è l’immagine più bella che abbia mai sentito per descrivere il tipo di caffè che non
sopporto! 🙂
Ed ha ragione il mio caro Monsiuer Ef: il caffè è un delicato rituale di sensibilità degustativa, olfattiva e visiva che sublima l’esistenza.(almeno in quesi rari secondi in cui riusciamo a fermarci per gustarlo)
Dovrebbe essere una cosa ragionata e non inghiottita come sturalavandini o corroborante quotidiano 🙂
Qui a Livorno il marocchino subisce una tale quantità di varianti da diventare sempre qualcos’altro: basta infarcirlo di dolcezze e leccornie varie (dalla meringa al cocco, per golosi di qualità)