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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    09/02/2007

    Pozdrowienia z Warszawy – 7. Il bacio

    Filed under: — JE6 @ 00:50

    Mi sono fermato nel ristorante per qualche minuto in più di quanto sarebbe stato necessario, dopo aver finito la cena. E’ strano e imbarazzante l’effetto che può fare la combinazione di stanchezza fisica, candele accese, birra fresca, Ella Fitzgerald (a Varsavia: Ella Fitzgerald! non ci si crede) e un ragazzo che suona il piano non per me e per gli altri tre avventori, ma chiaramente per se stesso.
    Saluto il cameriere – thank you very much, sir, dice con quella sua faccia slava quadrata e allegra – e mi fermo giusto in tempo per non scivolare sugli scalini coperti di neve e ghiaccio che portano al pavè della piazza del Castello Reale. Sospiro, alzo la testa, e vedo una coppia attraversare il grande spazio semivuoto: sono giovani, poco più che ventenni direi; lui porta in braccio lei, un braccio a reggere le ginocchia e l’altro le spalle. Lei si tiene aggrappata al collo di lui, e nessuno dei due sembra fare il minimo sforzo. Si fermano, lui le fa appoggiare i piedi per terra avendo cura di non farla scivolare, e poi la bacia. Io scendo con cautela i maledetti scalini, mi avvio e gli passo accanto. Si stanno ancora baciando.

    Pozdrowienia z Warszawy – 6. Il bambino

    Filed under: — JE6 @ 00:40

    La parte della città che riesco a percorrere è piena di statue: poeti, marescialli, santi, soldati. Ma ce n’è una che mette addosso una inquietudine difficile da spiegare, una di fronte alla quale sono stato almeno cinque minuti, fermo a fissarla mentre la neve si scioglieva in piccoli rivoli che cadevano a terra e un tassista che aspettava clienti mi guardava con aria tanto stupita quanto annoiata. E’ una piccola statua, incastonata dentro le mura di mattoni che circondano parte della città vecchia, Stare Miasto. E’ la statua di un bambino, di cinque o sei anni. In testa ha un elmetto, tanto grande da cadergli ben sotto le orecchie e da coprirgli abbondantemente la fronte; indossa una specie di uniforme, che gli arriva alle ginocchia, sotto le quali le gambette sono coperte da un paio di stivali anfibi. Intorno al collo gli gira un nastro, e a quel nastro è appeso un mitra, che il bambino tiene con qualche fatica, con entrambe le mani. Ai piedi del cippo che regge la statua, nella neve, ci sono tre lumini, di quelli rossi che si portano nei cimiteri. Sono spenti.

    Pozdrowienia z Warszawy – 5. Passa la bellezza

    Filed under: — JE6 @ 00:31

    Entro in Stare Miasto, e mi fermo a guardare il vecchio Palazzo Reale. Che, a ben vedere, non sembra poi così vecchio. Leggendo uno dei pochi cartelli disponibili con la traduzione in inglese, scopro infatti che è stato praticamente raso al suolo durante l’occupazione nazista, e ricostruito tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta grazie – così si dice – alla mobilitazione degli intellettuali polacchi e ai fondi interamente raccolti tra gli indigeni e gli emigrati all’estero. Penso che, proprio come a Bucarest l’anno scorso, non ho trovato nulla (con l’unica eccezione di un cippo intraducibile, nella quale si parlava di kommunist e Chicago) che riportasse alla memoria i cinquanta e passa anni di governo comunista, mentre in quasi ogni via si trovano targhe che parlano del 1944, e di hitlerowcy rozstrzelaly 30 (40, 50) polakow. Quasi di fronte alla Biblioteca Nazionale, e a fianco di una pazzesca struttura che potrebbe essere quella del ministero della giustizia (coperta di simboli giuridici come la bilancia, e di frasi latine tradotte in polacco che ricordano quanto sia buono e giusto rispettare la legge) si trova un gruppo di statue che raffigurano i soldati polacchi della seconda guerra mondiale: chi con un fucile, chi con una bomba a mano, chi con una granata, a difesa di una terra spazzata prima da ovest verso est, e poi dalla risacca dell’Armata Rossa. E’ come se il baricentro della storia di questo paese, almeno di quello intellegibile da uno straniero come me, fosse proprio dato da quei sei anni tra il 1939 e il 1945, è come se i polacchi volessero fissare – sui muri, nelle piazze – in modo indelebile e indistruttibile il ricordo che dice “ecco, guardate cosa ci hanno fatto”. Del comunismo, però, io non trovo traccia, il che mi pare stupefacente. Ma mi viene in mente quello che mi diceva questa mattina una giovane donna con la quale avevo da poco finito di parlare di giornali e di database e di servizi postali: i nazisti sono arrivati e hanno distrutto tutto, i comunisti hanno ricostruito ma non gliene importava nulla, non gli interessava la bellezza – they were not interested in beauty. Non so, forse l’eredità della falce e del martello è proprio il grigiore di cui scrivevo prima, l’anonima tristezza di palazzi insignificanti, di architetture senza fantasia e senza passione: te la puoi prendere e puoi continuare, sessant’anni dopo, a prendertela con gli unni che vennero da Berlino, ma fai fatica a odiare chi era così burocraticamente vuoto da non riuscire a lasciare traccia di sè – in fondo, anche noi sbeffeggiamo i presuntuosi costruttori dell’Altare della Patria, ma non riusciamo a provare sentimenti nei confronti degli equivalenti capitalistici degli apparatcnik che hanno sconciato le nostre città.

    Pozdrowienia z Warszawy – 4. Tra il bianco e il nero

    Filed under: — JE6 @ 00:01

    Varsavia è una città di grandi spazi. Grandi viali, case distanti l’una dall’altra. Mi chiedo come sia con il sole, se la libertà di movimento dei raggi riesce a farla brillare oppure se il suo colore tipico è quello del cielo ferroso che sta sputando nevischio ghiacciato dalla notte scorsa. Guardo i palazzi, e molti di loro sono ricoperti da quella patina grigiastra di – cosa: sporcizia? inquinamento? semplice invecchiamento? – che mi aveva tanto colpito a Bucarest: come se ogni muro portasse su di sè un retino, un venti-trenta per cento di nero. Eppure Varsavia non è Bucarest, qui non avverti la povertà, la fatica e la paura di non arrivare alla fine del mese – anche se un paio di mendicanti assolutamente insospettabili all’apparenza mi hanno chiesto qualche zloty, con mia notevole sorpresa. Non riesco a farmi un’idea di questa città, che mi sembra sospesa tra nord e sud, tra est e ovest tenendo forse qualcosa di tutti e quattro i punti cardinali – e finendo così per non essere nessuno di loro.