Dachau, una mattina di marzo
F.,
penso a te mentre attraverso il pesante cancello di ferro sul quale c’è la scritta Arbeit macht frei. E’ tedesco, che può essere una lingua magnifica come l’inglese che tu stai imparando, ma che in questo posto suonava spaventoso come il ringhio di un cane inferocito.
Penso a te per un motivo che tu capirai tra molto tempo: il Male, quello con la maiuscola, è come i bambini. Nasce e cresce circondato da bellezza, da dolcezza, da tranquillità. E’ questo che lo rende più spaventoso e incomprensibile. E’ per questo che ogni tanto ti guardo, e ho paura.
Hai ragione, non ti ho ancora detto dove sono. Scusami.
Dachau. Si legge come si scrive, più o meno, con l’accento sulla prima a.
E’ un paese non lontano da Monaco. Un paese come tanti, sai? Le case basse, i campi, i cavalli, le ditte di trasporti, Burger King. Ho visto le foto di settant’anni fa, e non era molto diverso: c’erano meno case, e Burger King non esisteva nemmeno in America. Ma, per il resto, non sembra essere cambiato molto.
E’ un posto nel quale io e te e la mamma, nati e cresciuti in città, forse non ameremmo vivere: però ci piacerebbe passarci, fare una passeggiata, ammirare il colore dei prati e la pulizia delle facciate delle abitazioni. Perchè potremmo venire qui. E andarcene.
Invece, tanti anni fa, qui arrivarono più di duecentomila persone (sono tante, molte più di quelle che tu riesci a immaginare), e tantissime di loro morirono qui; e quelle che ebbero la discutibile fortuna di poter tornare a casa, in fondo furono costrette a restare a Dachau per il resto della loro vita. Non avevano nessuna colpa, quelle persone. Eppure finirono qui, in questo posto che si chiama campo di concentramento, e che negli ultimi mesi della sua “vita” divenne un campo di sterminio.
Oggi sono tornato a Dachau, F., perchè ogni tanto bisogna ricordarsi di cosa ognuno di noi è capace di fare. Sono tornato a vedere il cancello, quello di cui ti parlavo prima, e gli stracci con cui i prigionieri si dovevano vestire (oggi c’erano cinque o sei gradi, io stavo nel mio piumino e ogni tanto pensavo che faceva freschino perchè c’era un venticello tagliente che portava via le nubi), e i giacigli di legno dove questi uomini e queste donne dovevano dormire ammassati gli uni sugli altri, e i frustini e le torrette e il filo spinato. E i forni crematori, che sono una cosa che oggi non ti voglio spiegare, ma un giorno verremo qui insieme, io te e la mamma, e tu guarderai il camino, e le montagnette erbose che coprono le ceneri in cui sono state trasformate decine di migliaia di persone come noi, e poi guarderai i forni e ti verrà da piangere per l’incredulità e l’orrore. Forse ti capiterà quello che è successo a me questa mattina, e mentre starai in piedi di fronte ai quattro forni del Grande Crematorio vedrai il sole passare dalla porta alle tue spalle, e sentirai anche uno o due uccellini trillare nella primavera che arriva. Ti sembrerà tutto assurdo, e sentirai un grande vuoto. Sarà allora, forse, che avrai la possibilità di diventare grande, F., grande davvero: se riuscirai a riempire quel vuoto, allora ce l’avrai fatta. Io sono tuo papà, e oggi, per te, mi auguro solo questo.
March 8th, 2007 at 19:11
Mi hai dato i brividi. Qualsiasi cosa possa dire nel commento non aggiungerà niente alle tue bellissime parole, per cui mi limito a complimentarmi.
March 9th, 2007 at 00:11
Non so chi tu sia, vengo ogni tanto a leggerti – per uno che ha imparato l’inglese ascoltando “Selling England…” andare a trovare uno che si chiama Squonk è quasi un dovere. Per il momento, stanotte, ho deciso che porterò i miei figli a Dachau quando quest’estate passeremo da quelle parti. Li dovrò preparare per bene, sono piccoli… ma quand’è che si è “grandi” abbastanza per Dachau?
Wandering in the chaos the battle has left,
we climb up the mountain of human flesh,
to a plateau of green grass, and green trees full of life.
March 9th, 2007 at 07:19
lo aspettavo, questo post. ed è bello come mi aspettavo.
grazie, S.
March 9th, 2007 at 09:15
Bellissimo. Bravo.
March 9th, 2007 at 09:23
wow.
March 9th, 2007 at 13:18
Camillo, non lo so. Mia figlia ha sei anni, e non so se la porterei: non so, ad esempio, se io e mia moglie saremmo in grado di trovare le parole per spiegare una cosa che ha dell’inspiegabile anche per noi. So, o meglio: credo, che sia una cosa che prima o poi dev’essere fatta.
Per tutti gli altri: grazie.
March 9th, 2007 at 14:00
grazie anche da me, questo post è da conservare
March 9th, 2007 at 14:50
Ho visitato Dachau a nove anni con i miei genitori, e non ho mai smesso di ringraziarli per quella giornata. Le parole da dire? Semplicemente Papà mi disse cosa succedeva in quei luoghi, senza tanti giri di parole.
March 9th, 2007 at 17:40
Bellissimo, bellissimo post.
March 10th, 2007 at 00:39
Le piccole ne avranno nove e mezzo. Forse diciotto quando usciremo. Ma parleremo, spero.
March 12th, 2007 at 20:50
Sono stato anch’io nel grande crematorio e ho provato un profondo senso di pace
come una grande Luce formata dalle fiammelle di migliaia di candele di cera finissima…
Forse era con questo che bisognava riempire quel grande vuoto..
franco
March 23rd, 2007 at 13:42
mia figlia di 17 anni è appena tornata da un viaggio con la scuola in germania .Sono andate anche a Dachau e alla sera ha sentito il bisogno di telefonarmi per raccontarmi quello che ha visto e le emozioni che quella visita ha suscitato in loro .Mi ha detto che c’erano diverse compagne che piangevano per l’orrore provato e che non riuscivano a capacitarsi che gli uomini siano potuti arrivare a compiere simili atrocita’.