La razza di partenza
Io di sicuro non sono in grado di valutare le doti artistiche di Luciano Pavarotti (se non con il metro del “mi piace, non mi piace”: no, non mi piaceva, ma in genere non mi piace la lirica). Però mi sento di sottoscrivere le prime righe di questo post di Sasaki, che – per quanto mi riguarda – non tolgono il dovuto rispetto nei confronti della morte e del dolore che questa porta:
Con la morte di Luciano Pavarotti se ne va un pezzettino di una Italia che esiste solamente nella testa di quelli che vivono fuori dai confini del bel paese. E’ una nazione, quella, fatta di pizza, mammà (con l’accento: se possibile lo trovo ancora più fastidioso), furbizia, belcanto, vado-in-vacanza-a-Milano-vicino-a-Napoli. Adesso restano la signora Fracci, Laura Pausini, Eros Ramazzotti, quell’altro pacco mostruoso di Andrea Bocelli e pochi altri. E’ la razza di partenza, poi c’è il gene-valentino-rossi (il dottore) ma quello è già un altro tipo di italiano famoso all’estero. Divertente notare che entrambe le specie hanno in comune l’innata capacità di farsi belli ed essere idolatrati in un Paese per il quale non fanno nulla: nemmeno contribuire e/o sottostare all’erario pubblico.
Sasaki Fujika
September 7th, 2007 at 10:49
Sottoscrivo pure io (togliendo però, fra i personaggi citati, la signora Fracci ;-))
September 7th, 2007 at 11:44
Non so se sono d’accordo fino in fondo, credo che non sia utile generalizzare, anche se torna benissimo anche a me pausiniramazzotti eccetera. Non so se Fracci è la stessa cosa, credo sia stato lo stesso, in certi ambiti, anche per le Carrà e gli Albani&Romine. E non scomodo i Benigni, per simpatia. Fare qualcosa per l’Italia però spetta a loro? Prendiamo il caso della Pausini, che non conosco ma mi sembra abbastanza innocente, categoria sciampista prestata al festivalbar. Non vuole essere un simbolo, la disegnano così, probabilmente. Di fatto, per dare lustro all’Italia fa poco, quale che sia la sua volontà. Ma se la memoria non m’inganna, c’è stato un Rubbia (o era Dulbecco?) al festival di Sanremo, e lui sì, qualcosa per l’Italia ha fatto. Probabilmente SanRemo gli ha reso onori e fama che altre cose più importanti non gli hanno tributato. Non so se gli stranieri vedono quello che vediamo noi e si adeguano, qualche sospetto ce l’ho. Pavarotti, poveretto (non l’ho mai potuto digerire, ahimé), riecheggiava Caruso. Un mito. Come Pizza&Manduline. Gli stilisti, secondo voi, fanno parte della categoria?
September 7th, 2007 at 12:26
A Sabani non ci pensa nessuno.
September 7th, 2007 at 12:29
poro Sabani, che sfortuna
September 7th, 2007 at 12:34
Mi verrebbe da dire che fare qualcosa per l’Italia (anche in soli termini di immagine) spetta a tutti, nel piccolo o grande di ciascuno. Il post di Sasaki parla dell’aura che emana(va) da certe persone, e nella quale molti altri si riconoscono – ergo, dalla quale si sentono rappresentati. Almeno credo. Se questo è il senso, ribadisco che concordo.
September 7th, 2007 at 12:45
A me pare che il post che citi dimostri chiaramente come, quando si ignora tutto di un argomento, un sobrio silenzio sia da preferirsi alla imbarazzante esibizione della propria vena sarcastica.
Pavarotti è stato, con Gigli e Di Stefano, la più bella voce del secolo. In questo senso è stato davvero patrimonio artistico e culturale dell’umanità intera, e non ha niente a che vedere con pizza e mandolino, se non agli occhi degli ignoranti. Negli ultimi anni, persa la voce, si era dedicato ad altre cose più commerciali. Ma ciò non toglie niente a quello che è stato da giovane.
Sostenere poi che non abbia fatto niente per l’Italia è contemporaneamente vero, e stupidissimo. Allora neanche Caravaggio ha fatto niente, e Scarlatti meno ancora, e Arturo Benedetti Michelangeli, e Uto Ughi. E Gadda? E Montale? Che mai hanno fatto per l’Italia?
September 7th, 2007 at 13:00
Gaspar, per quel che ne so l’accusa di ignoranza è correttamente attribuibile al sottoscritto – forse un po’ meno a Sasaki, il quale comunque sa bene se e come argomentare in propria difesa. Per quanto mi riguarda, ribadisco quel che scrivevo prima: non ci sono valutazioni artistiche, ma si parla di ciò che certe persone (chissà, forse anche contro la loro stessa volontà) comunica(va)no.
September 7th, 2007 at 13:58
(Pizza&Manduline e mito di Caruso, chiarisco quello che volevo dire io, è che vengono associati all’Italia allo stesso modo, ovviamente con intenzioni diverse)
September 7th, 2007 at 14:48
Radici che si estirpano
No, non sono d’accordo con chi ha tratteggiato la figura di Luciano Pavarotti come di una di quelle retrive “cartoline italiane” buone solo per gli emigranti o la bassa cultura popolana. Pavarotti è stato il più grande epigono di una…
September 7th, 2007 at 15:41
Gaspar trovo curioso come tu possa definirmi come qualcuno che ignora completamente l’argometo. Fosse anche solo per osmosi avresti un torto. Ma bene così, io la penso in un modo e non ti devo convincere, io so che vita ho vissuto e cosa ho studiato e quel che mi è stato insegnato, dalla vita e dai miei genitori e non devo rendertene conto. Pace?
September 7th, 2007 at 16:33
“Un tenore meraviglioso sopraffatto dalla fama”. Così Pavarotti viene definito oggi su Repubblica da un critico musicale che risponde al nome di Michelangelo Zurletti (non lo conosco, scusate l’ignoranza). So pochissimo di lirica, ma da quello che ho letto in giro mi pare che la definizione sia corretta. Voce estesa e dal timbro assolutamente straordinario, ma “lo scavo interpretativo non era per lui, gli mancava la voglia o la capacità di studio … gli bastava esibire la bellissima voce e si trovava mito”, dice Zurletti, e qui nella sostanza ci si ritrova con quello che dice Sasaki. Voglia e capacità di studio devono poi essersi completamente azzerati dopo la scoperta tutt’altro che recente del “commerciale”, i vari Pavarotti & Friends, i tre tenori, i duetti con Zucchero e altre schifezze assolute (qui il giudizio lo dò senza esitazione alcuna). Nè mi sorprende che sia stata soprattutto questa seconda produzione a rendere la sua fama universale. La vera grandezza, che a me sembra quella che si traduce nel talento unito allo studio, alla fatica, alla riservatezza, alla ritrosia ad apparire, al disinteresse per il repertorio facile, non è purtroppo cosa che possa suscitare entusiasmi diffusi. Chi segue questa via (l’ambito è diverso, ma un nome che mi viene subito in mente è quello di Paolo Conte) di certo fa parecchio per il proprio paese (ancora meglio se paga le tasse!). Per i percorsi alla Pavarotti francamente non saprei.
(Per Pank: il Nobel a Sanremo era Dulbecco e per la verità non credo proprio, o almeno lo spero per lui, che si sia sentito più gratificato dalla partecipazione a un festival di canzonette che non dagli infiniti riconoscimenti che ha avuto in ambito scientifico. Quanto ali stilisti, beh, stendiamo un velo pietoso.)
September 7th, 2007 at 16:36
errata: nè –> né (scusate la pedanteria)
September 7th, 2007 at 17:53
(sì, con onori e fama per Dulbecco a Sanremo volevo fare l’esempio, appunto, di chi diventa più famoso per aver fatto una scemenza che per la montagna di cose importanti che ha fatto nella vita, ma mi accorgo che non c’entra niente rispetto al tema pavarotti—>simboli che si associano direttamente all’Italia a torto o a ragione, belli o brutti che siano)
September 8th, 2007 at 01:06
gaspar, perdonami, una persona di grande talento sa che il talento finisce. e che esiste una cosa che si chiama pensione.
le nefandezze che ha fatto per superflui scopi commerciali (ed economici, visti i trascorsi con il fisco) lasciano soprattutto nei giovani un’immagine di pavarotti che dice: “è quello che ha cantato con bono e che ha cantato certe notti con ligabue” (che si evince dalle registrazioni dell’evento era in evidente imbarazzo).
ho sentito più volte pavarotti cantare nei tempi buoni e credo che io non possa dimenticarlo, ma sono abbastanza d’accordo nell’affermare che un sobrio “do di petto” d’addio sarebbe stato molto più dignitoso.
per tutti, intendo.