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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    14/10/2007

    Greetings from Chicago – 6. Dove i telefoni non suonano

    Filed under: — JE6 @ 13:03

    Tutte le città americane che conosco, persino quell’insensato agglomerato di palazzi abitati unicamente 9-till-5 nei giorni feriali che risponde al nome di Orlando, hanno una zona di verde, pace e tranquillità che pare presa da una favola o da un film sulla nobiltà rurale inglese. Qui è l’immensa area che racchiude il Field Museum, lo stadio di Soldiers Field, lo Shedd Aquarium e l’Adler Planetarium. Sarà che è sabato, che ci si avvicina all’ora di pranzo, che dal cielo arriva qualche sparuto raggio di sole: sembrano tutti completamente rilassati, i ciclisti, i pattinatori, le coppie che si tengono a braccetto, i pescatori, le madri sole che spingono il passeggino. Dal planetario, tra l’edificio e la statua di Copernico, si rimane fermi a guardare incantati una vista semplicemente straordinaria, e voltando la testa si incrociano le acque di questo lago enorme, che vanno avanti all’infinito, a perdita d’occhio come gran parte della natura americana. Mi sembra di non sentire nemmeno lo squillo di un telefono.

    Greetings from Chicago – 5. Billboard

    Filed under: — JE6 @ 12:45

    Passo a fianco del millesimo parcheggio, quindici dollari per lasciare la macchina una decina di ore e un paio di dollari di sconto se arrivi prima delle sette del mattino e te ne vai prima delle sette di sera. Il lato nord confina con un grande muro di mattoni rossi, e su questo si trova un grande cartello che domina l’intera zona, il parcheggio e le vie intorno e l’incrocio che porta ad un deposito di autobus. Il cartello non decanta una tariffa telefonica scontata o un nuovo volo diretto per San Francisco, ma riporta una frase della Bibbia (For the wages of sin is death, but the gift of God is eternal life through Jesus Christ our Lord) dove i colori delle parole cambiano a seconda dell’emozione che devono suscitare, nero per il peccato e rosso per il dono e azzurro per l’eternità. Il lato sud del parcheggio è fatto da un muretto e una cancellata di protezione; all’interno, il più classico dei senza casa sta seduto su un asse di legno, avvolto in un giubbotto che terrà caldo solo per pochi giorni ancora: lo guardo standogli alle spalle, mi pare che fissi il cartello, e mi chiedo cosa pensa – se pensa.

    Greetings from Chicago – 4. Come al cinema

    Filed under: — JE6 @ 05:58

    La fregatura dell’aver conosciuto fin da piccoli l’America attraverso cinema e televisione è che si finisce per essere convinti – neanche troppo inconsciamente – di stare davanti allo schermo anche quando si è ormai a contatto fisico con l’oggetto delle nostre attenzioni. Così, lo stupore per quasi tutto – i grandi cartelloni luminosi dei teatri, le motrici degli autoarticolati, i serbatoi d’acqua sui tetti – non è generato da una qualsiasi qualità intrinseca di ciò che si osserva, ma molto più semplicemente dalla sua pura esistenza: ah, ma allora è tutto vero. Forse è per questo che non riesco a nascondere la delusione, chè all’orizzonte non si vedono sbucare nè la macchina dei Blues Brothers nè le cento pattuglie della polizia che li inseguono.

    Greetings from Chicago – 3. Scalini

    Filed under: — JE6 @ 05:43

    Non capita tutti i giorni di trovarsi sul set della scena più famosa di un film molto famoso; così, mi sono fermato ad osservare con attenzione e reverenza la scalinata dove Brian De Palma, Kevin Costner e Andy Garcia citano La Corazzata Potemkin, e l’ho ripresa in lungo e in largo: convincendomi una volta di più – di fronte a quei trenta scalini consumati e gibbosi, che una buona ottica è davvero in grado di fare miracoli.
    Comunque, Union Station non ha solo la Main Hall e la scalinata di De Palma: ha quest’aria solidamente retro che dà l’idea che i treni non possano che partire e arrivare in orario, e i nastri trasportatori per il ritiro dei bagagli grandi quanto quelli degli aeroporti, e un signore sulla cinquantina in camicia verde e pantaloni stazzonati, i lineamenti da indio, che porta uno Stetson aspettando con il volto scolpito nella pietra delle mesas e pare tirato fuori di peso da un fumetto o da un film – si vede che questo è il destino inevitabile della stazione.

    Greetings from Chicago – 2. Correnti

    Filed under: — JE6 @ 05:35

    Chicago non è il posto adatto per voi, se soffrite di cervicale: qui il turista trascorre almeno la metà del tempo con la testa rivolta verso il cielo – mentre gli indigeni, nati e cresciuti in mezzo al vento che batte costantemente la città, hanno quasi tutti un cappuccio in testa, e gli occhi ben piantati a terra, a proteggere dall’aria il maggior numero possibile di centimetri quadrati di pelle.
    Il vento viene dai grandi laghi, ma si dice che i suoi flussi dipendano proprio dai grattacieli che incrinano le vertebre dei visitatori, il che mi pare estremamente americano: passare una vita a difendersene può essere, immagino, faticoso; ma per qualche giorno dà un gran senso di libertà.