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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    17/10/2007

    Greetings from Chicago – 13. Cinque giorni di solitudine

    Filed under: — JE6 @ 22:16

    La bellezza del viaggiare da soli sta nel poter andare a far colazione in una bettola, decidere di fare una deviazione al Navy Pier e lì fermarsi a guardare una scolaresca di bambini di colore, le femmine con le treccine di perle bianche e rosse, i maschi con l’andatura saltellante di un running back, comprare una birra servita nel bicchiere di plastica e portarsela in giro per poi appoggiarsi ad un palo della luce perchè in quel momento gli altoparlanti passano A Horse With No Name che saranno vent’anni che non la senti, schiantarsi su una panchina vista skyline per farsi un impacco di ghiaccio al piede e salire su un improbabile trabiccolo che ti porta alla sopraelevata che finalmente adesso che stai partendo hai capito che ci sono tre fermate che portano tutte lo stesso nome perchè stanno tutte sulla stessa via che è lunga come la statale del Sempione; e il tutto senza dover rendere conto a nessuno.

    Greetings from Chicago – 12. Bellezze

    Filed under: — JE6 @ 22:08

    Servono undici dollari per prendere un ascensore che va a venti miglia orarie e ti scaraventa a trecento metri di altezza in pochi secondi: e da lì, dalla cima del John Hancock Building, guardandoti intorno non sai se essere più impressionato dai prodigi dell’uomo che ha creato questa magnificenza architettonica [1] o da quelli della natura che ha creato questo lago pazzesco, lungo 500 chilometri e largo 190, dove sono affondate più navi che nel triangolo delle Bermuda. Dopo un po’, la vista è persino eccessiva, ti perdi, passi dalla Tribune Tower al Merchandise Mart, da Gary che sta nell’Indiana a Evanston che sta a qualche decina di chilometri a nord nell’Illinois, dalla Sears Tower [2] alle spiagge di Oak Street, e continui a girare da nord a est e poi a sud e poi a ovest per riprendere il giro e riprendere a fare “ooh”. Ti consoli un po’ vedendo che anche qui a smog sono messi maluccio, e d’altra parte cosa puoi pretendere da nove milioni di persone che si muovono ogni santo giorno dalle villette monofamiliari di Oak Park e Elmhurst ai grattacieli di Madison e State – che è un po’ come spostarsi dalla pianura alla montagna, a ben vedere.
    [1] Chicago è la prova provata che la bellezza può essere creata in qualunque modo e con qualunque strumento, con le case basse circondate da un piccolo giardino e con questi grattacieli spettacolari e bellissimi: è che bisogna avere gusto, e mi sa che noi siamo rimasti fermi al Cinquecento.
    [2] Che è ancora più alta, di circa un centinaio di metri; ci sono stato cinque anni fa, sempre in questa stagione, e la punta del grattacielo era immersa in una specie di nebbia che faceva solo intuire l’esistenza di una megalopoli ai suoi piedi.

    Greetings from Chicago – 11. Manca qualcosa

    Filed under: — JE6 @ 13:46

    Naturalmente, cinque giorni qui e sei giorni là – New York, San Francisco, Atlanta, Orlando, New Orleans – non sono nulla: e poi, un conto è vivere in un luogo, passare attraverso il caldo dell’estate e il gelo dell’inverno, gli ingorghi del traffico, le bollette, la scuola dei bambini, e un conto è venirci da semituristi ai quali il fermo di dieci minuti di un treno della sopraelevata non crea nessun problema e anzi permette di guardare con un po’ di calma le facce nel vagone (ma dove vanno tutti quanti con queste magliette blu – ah, giusto, i Bears giocano in casa); però, ogni volta che vengo da queste parti provo anche una vaga e forse stupida sensazione di mancanza: a queste città, molte delle quali sono semplicemente magnifiche – almeno per quanto i (semi)turisti possono vedere, manca la tragedia, quella che da noi in Europa si trova ad ogni angolo di strada – via Rasella a Roma, i War Offices a Londra, i buchi lasciati dalle pallottole nei muri di Berlino, la stazione di Drancy da dove partivano gli ebrei parigini alla volta di Dachau, la casa di Anna Frank ad Amsterdam (e parliamo solo della seconda guerra mondiale, ma abbiamo almeno duemila anni di esempi alle spalle). Qui, al massimo si ricorda il Big Fire, il grande incendio del 1871; non so se questo vuol dire qualcosa, se questo spiega qualcosa dell’essere americani: mi tengo la sensazione, e mi godo il panorama.

    Greetings from Chicago – 10. A night at the opera

    Filed under: — JE6 @ 06:07

    Avete presente quei sogni piccoli, che vi accompagnano per una vita nella quasi totale certezza che non verranno mai realizzati; chi non ne ha almeno una dozzina. Poi a volte capita che si avverano, e non importa il piede che non riesci più nemmeno ad appoggiare per terra e sir, at the street junction turn right and then it’s two blocks ahead, hai un sogno in meno ed un ricordo in più. Così questa sera, grazie alla bontà della concierge brasiliana che si è attaccata al telefono per venti minuti abbondanti per trovarmi il biglietto, ho preso il 20 Westbound e sono andato allo United Center, a vedere Chicago Bulls-Washington Wizards: una partita NBA, anche se di pre-season – ecco il piccolo sogno. E insomma, ne è valsa la pena, e alla fine la partita, gli assist, gli alley-hoop, i fader, i three-pointers sono la cosa meno importante e divertente: per tre ore lo spettacolo non si ferma mai, il toro volante che sorvola gli spettatori (e un po’ ricorda il maiale dei Pink Floyd), le cheerleaders, le coppie inquadrate dalla Kiss Cam che si baciano sulle note di I Was Made For Lovin’ You, le decine di t-shirts paracadutate dal cielo su quelle di You Shook Me All Night Long, la mascotte Benny, l’inno cantato al buio da diecimila persone (and now please stand up and sing, ’cause we are in America), il signore elegantissimo in doppio petto gessato con pochette bianca, i fuochi d’artificio – giuro – per l’entrata in campo della squadra di casa, i quattro marines con la bandiera, i ragazzini che si fanno firmare gli autografi. E’ tutto un lungo, rilassatissimo, divertito gioco, ridono tutti e sono contagiosi, hanno tutti undici anni e sono contagiosi e la pubblicità che dice I love this game a noi sembra falsa perchè siamo cresciuti male a Totti-Maldini-Del Piero-Sacchi-Lippi-Capello, invece per loro è vera: infatti loro ridono, e noi abbiamo i musi lunghi e Controcampo.