La mia famiglia di origine viene da un paesino arrampicato sulle colline del Goceano, una piccola area piuttosto vicina al centro geografico della Sardegna. Uno di quei paesi nei quali gli anziani parlano ancora un sardo antico miscelato allo spagnolo dei dominatori di qualche secolo fa, dove gli uomini facevano vita di campagna indossando pantaloni di fustagno e le donne vestivano lutti inesorabili e interminabili. La mia nonna materna uscì dal Goceano a cinquant’anni passati, e venne a trovare le figlie sposate a Milano e a Piacenza vedendo il mare che era un milione di volte più grande di quel rigagnolo che sua mamma e sua nonna le avevano sempre presentato come Su Riu Mannu, il fiume grande. Quando si trovò di fronte alla scala mobile che collegava la biglietteria ai binari della Stazione Centrale di Milano, proruppe in una risata omerica, lei che non rideva mai, e chiese a mia madre “e itt’este custa colora?” – cos’è questa biscia?
Ho passato le prime diciassette estati della mia vita in Sardegna, un po’ sulle spiagge di Bosa Marina, un po’ al fresco sole del paese dei miei genitori, dei miei nonni e di sette degli otto bisnonni, parlando e ascoltando una lingua arcana e conoscendo cose che nessuno dei miei amici di Milano poteva conoscere. Mi sono sempre sentito milanese, a dispetto del cognome e dell’anemia mediterranea: e tale ero considerato persino dai miei familiari più stretti; e però, mi sono anche sempre sentito sardo, portando con me, qui all’ombra della Madonnina, una specie di sensazione e di affermazione di diversità, di misurato orgoglio.
Oggi, che per i casi della vita non metto piede in Sardegna da quindici anni e ho visto cose e paesi che non sarei stato in grado di raccontare a nonna Marianna e a nonna Enrichetta, leggo questo post di Lorenza, alla quale rubo il titolo: e leggendolo non provo soltanto il piacevole stupore di sapere che non saremo parenti ma di sicuro il suo bisnonno conosceva i miei, centotrenta o centoquaranta anni fa, ma anche una sottile nostalgia di radici. Poi penso che sono contento del fatto che mia figlia abbia due nonni sardi, una nonna friulana e un nonno milanese, penso che sono contento di trovarmi a casa – o, se non altro, di non sentirmi estraneo – sull’Unter den Linden a Berlino o in Wabash a Chicago, penso che guardo con inquietudine alle fotografie in bianco e nero che raccontano quanto dura, dignitosamente dura, fosse la vita dei miei nonni e dei miei genitori quando avevano l’età che ha oggi la loro nipote, e che quando le ho davanti sono tanto curioso quanto imbarazzato. Ieri sera ho chiesto a mia mamma di attivare la cugina ricercatrice per spulciare gli archivi parrocchiali e capire se attraverso il blog ho trovato una lontanissima e inattesa parente a Piombino; ma al tempo stesso non vedo l’ora di vedere com’è fatta Ljubljana. Dicono che la modernità sia anche questa, e non mi resta che prenderne atto.
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