Saluti da Roma ’08 – 3. La pianta di limoni
Per i casi della vita, in tante volte che sono stato a Roma non avevo mai messo piede in via Margutta; e per un caso della vita oggi mi hanno spostato un appuntamento da Ciampino a – appunto – via Margutta (non senza avermi comunque fatto andare a Ciampino: ma questa è un’altra storia).
Così il tassista mi ha lasciato in via del Babuino, all’inizio di Vicolo dell’orto di Napoli – e un giorno poi scriverò qualcosa sui nomi delle vie di questa città; il vicolo incrocia via Margutta proprio davanti alle due piccole vetrine di un corniciaio, incastonate dentro un muro rosso mattone. Mi avvicino, guardando prima il piccolo balcone al primo piano, con le imposte verdi e due piccoli vasi con fiori che sembrano ciclamini, e poi le vecchie cornici in vetrina, un libro intitolato “Fregi e sfregi di Roma”, una manciata di ombrelli e un casco per andare in scooter. Mancano stranamente i rumori, in via Margutta, almeno alle tre di un pomeriggio di febbraio. Due vigili scherzano con una coppia che spinge un passeggino. Mi fermo a leggere un’iscrizione che andrebbe portata a Napoli, scritta nel 174x (l’ultima cifra è andata persa): “D’ordine di Mons.re ill.mo e rev.mo Presidente delle strade si vieta a tutte e single persone di fare mondezzaro nella via Margutta pena di scudi dieci per volta et altre pene corporali – nerbate – ceppi – giri di rota – o come il mastro di strade volesse assecondo l’età e il sesso”. E poi non so perchè, alzo la testa. E su un piccolo terrazzo vedo una pianta di limoni – e c’è un limone, il che non è strano, ovviamente, ma ai miei occhi in quel momento è quasi fantascientifico: mi ricordo di un viale che scendeva verso la stazione di Mergellina, a Napoli, con gli aranci carichi – poi suona il telefono, e insomma, non si può aver tutto dalla vita.