Non consiglierei Rue Vaugirard per un soggiorno turistico: traffico, e brutti palazzi, come nella più classica rappresentazione della metropoli occidentale. Ma sono qui per una fiera, e l’albergo mi torna comodo per gli spostamenti. Nel marasma delle sette di sera, intravvedo un piccolo locale, una brasserie periferica, e decido di fermarmi per una biere pression. Improvvisamente entro in un romanzo di Simenon, o in una cartolina della Francia degli anni Cinquanta. I muri sono coperti da piastrelle che riproducono scene di una Parigi bucolica che mi chiedo essere davvero mai esistita. Ad una parete è appoggiato un Dynamometre, un vecchissimo oggetto in legno che dovrebbe misurare in fantomatici decanewton la forza fisica dell’utilizzatore – un po’ come quegli aggeggi nei luna park ai quali si tira un pugno per vedere fin dove schizza l’indicatore. Al bancone vedo appoggiato un signore alto e magro, che mostra forse un’ottantina d’anni: e parla tranquillo con la donna che gli serve il boccale di birra, che sarà sulla trentina ed ha un corpo minuto e pieno, fasciato in una maglia viola e un paio di jeans aderentissimi che suggerisce a me e a diversi altri avventori immagini piuttosto eloquenti: eppure anche lei parla piano con il suo anziano cliente, e lo fa come se stesse parlando con un coetaneo, o con un amico. Guardo il cuoio rosso delle sedie, due ragazze sedute al tavolo vicino che osservano dei fogli. Finisco la birra, mi augurano bonsoir, esco.