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    29/04/2008

    Greetings from London ’08 – 3. Anita

    Filed under: — JE6 @ 19:17

    Molti anni fa avevo una collega, una ragazza che faceva il mio stesso lavoro nella sede di Londra; Anita, indiana, di una bellezza rara come solo le donne di quei paesi possono avere. Ci vedevamo due o tre volte all’anno, in occasione dei nostri meeting europei a Eindhoven, o dei kick-off in luoghi ancora più improbabili. Dopo qualche tempo, Anita diede le dimissioni. Si sposò con un ragazzo, anche lui indiano, e il matrimonio venne celebrato in India. I suoi colleghi ci fecero vedere le foto scattate in quella settimana di festa, che lei gli aveva portato andando a trovarli dopo qualche settimana dal suo ritorno: e se possibile era ancora più bella, con i trucchi, le decorazioni, il sari, i fiori. Non so che fine abbia fatto Anita, sono riuscito a mantenere i contatti – anche se sporadici – con diversi miei colleghi di quella vita professionale, Joost, Ernie, Gerda e Anne in Olanda, Maria a Madrid, Anna a Stoccolma: ma Anita, che era di poche parole ma sapeva il fatto suo, chissà dov’è e cosa fa.
    Mi è tornata in mente perchè per due giorni consecutivi ho incontrato – una volta sull’aereo e una volta in fiera – due ragazze, chiaramente indiane, che portano il suo stesso cognome. E tutte e due le volte ho avuto la tentazione di fermarle e chiedere loro se erano parenti di Anita. Poi ho lasciato perdere, mi sono vergognato, non me la sono sentita di imbarcarmi in una spiegazione troppo poco plausibile, ed un piccolo pezzo del passato è tornato – per andarsene subito, in silenzio.

    One Response to “Greetings from London ’08 – 3. Anita”

    1. Gilgamesh Says:

      Io dedico questa canzone
      ad ogni donna pensata come amore
      in un attimo di libertà
      a quella conosciuta appena
      non c’era tempo e valeva la pena
      di perderci un secolo in più
      A quella quasi da immaginare
      tanto di fretta l’hai vista passare
      dal balcone a un segreto più in là
      e ti piace ricordarne il sorriso
      che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
      in un vuoto di felicità

      Alla compagna di viaggio
      i suoi occhi il più bel paesaggio
      fan sembrare più corto il cammino
      e magari sei l’unico a capirla
      e la fai scendere senza seguirla
      senza averle sfiorato la mano

      A quelle che sono già prese
      e che vivendo delle ore deluse
      con un uomo ormai troppo cambiato
      ti hanno lasciato, inutile pazzia
      vedere il fondo della malinconia
      di un avvenire disperato

      Immagini care per qualche istante
      sarete presto una folla distante
      scavalcate da un ricordo più vicino
      per poco che la felicità ritorni
      è molto raro che ci si ricordi
      degli episodi del cammino

      Ma se la vita smette di aiutarti
      è più difficile dimenticarti
      di quelle felicità intraviste
      dei baci che non si è osato dare
      delle occasioni lasciate ad aspettare
      degli occhi mai più rivisti

      Allora nei momenti di solitudine
      quando il rimpianto diventa abitudine,
      una maniera di viversi insieme,
      si piangono le labbra assenti
      di tutte le belle passanti
      che non siamo riusciti a trattenere.

      Qui volendo, Sir, c’è il testo originale della poesia francese di Pol, diventanta una canzone di Brassens, meravigliosamente tradotta da De André, che il suo post dolceamaro m’ha richiamato alla memoria come una madeleine.

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