Greetings from London ’08 – 3. Anita
Molti anni fa avevo una collega, una ragazza che faceva il mio stesso lavoro nella sede di Londra; Anita, indiana, di una bellezza rara come solo le donne di quei paesi possono avere. Ci vedevamo due o tre volte all’anno, in occasione dei nostri meeting europei a Eindhoven, o dei kick-off in luoghi ancora più improbabili. Dopo qualche tempo, Anita diede le dimissioni. Si sposò con un ragazzo, anche lui indiano, e il matrimonio venne celebrato in India. I suoi colleghi ci fecero vedere le foto scattate in quella settimana di festa, che lei gli aveva portato andando a trovarli dopo qualche settimana dal suo ritorno: e se possibile era ancora più bella, con i trucchi, le decorazioni, il sari, i fiori. Non so che fine abbia fatto Anita, sono riuscito a mantenere i contatti – anche se sporadici – con diversi miei colleghi di quella vita professionale, Joost, Ernie, Gerda e Anne in Olanda, Maria a Madrid, Anna a Stoccolma: ma Anita, che era di poche parole ma sapeva il fatto suo, chissà dov’è e cosa fa.
Mi è tornata in mente perchè per due giorni consecutivi ho incontrato – una volta sull’aereo e una volta in fiera – due ragazze, chiaramente indiane, che portano il suo stesso cognome. E tutte e due le volte ho avuto la tentazione di fermarle e chiedere loro se erano parenti di Anita. Poi ho lasciato perdere, mi sono vergognato, non me la sono sentita di imbarcarmi in una spiegazione troppo poco plausibile, ed un piccolo pezzo del passato è tornato – per andarsene subito, in silenzio.
April 30th, 2008 at 11:17
Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c’era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più
A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l’hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità
Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l’unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano
A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato
Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino
Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti
Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere.
Qui volendo, Sir, c’è il testo originale della poesia francese di Pol, diventanta una canzone di Brassens, meravigliosamente tradotta da De André, che il suo post dolceamaro m’ha richiamato alla memoria come una madeleine.