Andare avanti
Se c’è una cosa che ho imparato durante questa estate – una cosa che forse ho sempre saputo, ma un conto è averne la nozione, altro è toccare con mano, sia in senso letterale che in quello più moderno delle nostre relazioni a distanza – è che noi umani abbiamo una capacità di resistenza ai limiti dell’infinito.
Ci arrivano addosso le botte più dure e cattive, la malattia di un genitore o quella di un figlio, la perdita del lavoro, lo sfratto, il tradimento: e andiamo avanti. Cadiamo e ci rialziamo, ci sediamo ad aspettare che passi, e poi continuiamo. Sempre, ogni giorno. E’ più facile farlo, forse, quando c’è qualcosa di materiale da fare, quando si deve affrontare un problema concreto che ha una faccia, un nome, una definizione scientifica: un tumore è un tumore, per dire, così come un licenziamento è un licenziamento; i contorni sono chiari, ben definiti, ti rimbocchi le maniche e ti curi, o ti cerchi un nuovo lavoro. Forse (ma non ne sono sicuro: e chi lo è?) è invece più dura affrontare qualcosa che quel nome non ce l’ha, perchè diventa difficile capire cosa fare, su cosa concentrare l’attenzione. E però, nonostante tutto andiamo avanti: e non è vero che non abbiamo alternative. Lo sappiamo tutti benissimo che l’alternativa c’è, ce la troviamo davanti agli occhi ogni volta che passiamo davanti a una finestra o quando ci troviamo di sera, da soli, sul molo della amena località nelle quali stiamo trascorrendo le vacanze. Siamo troppo deboli, troppo pavidi per quella scelta? Non so. E se essere forti non fosse altro che essere deboli e avere lo stesso il coraggio di fare le cose giuste?
[Se in queste righe trovate qualcosa di sensato, non è farina del mio sacco. Però ci vuole un po’ di discrezione, voi capite]