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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    15/10/2008

    Greetings from Las Vegas – 19. LVPD

    Filed under: — JE6 @ 20:37

    Poco fa, dalle parti dell’Hard Rock Cafè ho visto la prima pattuglia di polizia da quando sono arrivato qui venerdì sera. Non so dire se sia strano o meno, nell’impero dell’entertainment e del peccato. O forse, cosa più probabile, io vedo solo una parte – la più “bella” e la più brutta allo stesso tempo – della città, e Jim Brass se ne va in giro a downtown o nei sobborghi, dove non ci sono turisti e c’è un altro pezzo di vita vera di Las Vegas – perchè quella della Strip non è meno vera dell’altra, anzi.

    Greetings from Las Vegas – 18. Miss ya

    Filed under: — JE6 @ 16:45

    Mentre mi preparo per la doccia, una finestrella di GTalk si accende. Ci si abitua anche a stare lontano da tutto? mi chiede. E no, rispondo, quella invece è forse la cosa più difficile; è facile se non ci sono affetti, ma se questi ci sono allora diventa difficile. Poi ci sono gli affetti diffusi, le relazioni quotidiane che – anche se non sono di affetto, o se lo sono in senso meno canonico – ti mancano. Riguardo a questo, essere “connessi” da un lato aiuta, perchè ti tiene in contatto, ma dall’altra parte te ne acuisce la mancanza, soprattutto se non sei del tuo umore migliore. Viaggiare serve anche a questo, a capire chi ti manca, come e quanto – e serve a capire come stai tu.

    Greetings from Las Vegas – 17. Abitudini

    Filed under: — JE6 @ 16:16

    Gli umani sono abitudinari. Tutti, nessuno escluso. Ci abituiamo tutti, a tutto – ognuno alle sue cose, molti alle stesse cose. Ieri sera, quando voi iniziavate la giornata lavorativa e io smaltivo cibo e soprattutto alcool di una cena con undici inglesi, un canadese e un australiano camminando sulla Strip in direzione sud, ho percepito che mi sto abituando a Las Vegas. Cosa che non pensavo che sarebbe avvenuta, visto il rapporto conflittuale che ho avuto con la città. Invece, davvero, si fa l’abitudine: alle luci, allo spettacolo delle fontane, agli uomini sandwich, a perdersi nell’albergo, a quelle che dovrebbero essere giovani perchè fanno le giovani, a quelli in bermuda, alle slot machine, alla finta Tour Eiffel – a tutto. C’è meno repulsione, più tranquillo adeguamento: mi adeguo anche alle torri color pastello dell’Excalibur, che si stagliano davanti alla mia vetrata mentre il sole sta salendo sul deserto. Anche le cose che ti fanno schifo, e che continuano a fartelo, ti diventano normali – e mi spingo a dire che finiscono addirittura per mancarti quando te ne vai.

    Greetings from Las Vegas – 16. Approved by

    Filed under: — JE6 @ 03:07

    E’ periodo di elezioni, e guardo affascinato questi spot che si concludono tutti con un “approved by”, nei quali Obama e McCain si presentano per ciò che vorrebbero essere – persone di cui i cittadini di questo paese si possano fidare. Ma da quando vengo negli USA non ho mai sentito tanta sfiducia: they’re brainless, ho sentito dire più volte in questi giorni, e sono stupiti e stanchi di una campagna elettorale che a noi fa sorridere perchè siamo abituati a ben peggio, agli attentati alla democrazia e ai comunisti che mangiano i bambini, ma che a loro inquieta perchè gli fa chiedere nelle mani di chi si stanno andando a mettere. Pare di stare a casa, e non è una grande soddisfazione.

    Greetings from Las Vegas – 15. Io al posto tuo

    Filed under: — JE6 @ 02:55

    La vita delle fiere è fatta così: si parla, si parla, si parla. How are you doing, come stai, quanto ci impieghi per arrivare, a che punto è quel progetto di client scoring, come sei messo con le consumer list ungheresi, sai che sono venuta in Italia quest’estate, facciamo scadere il contratto e poi cambiamo le condizioni. Così, per ore, dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio. Poi, alle sei si riprende, i drink negli alberghi, i party, le reception di quell’azienda e quell’altra associazione. Networking si chiama, un Facebook dal vivo che continua per giorni e giorni. Da una parte è bello, conosci gente nuova, ritrovi persone che nel corso del tempo sono diventate amiche (quest’estate ero in giro nella Foresta Nera, e mi sono detto “beh, Stephan sta a quaranta chilometri da qui, adesso lo sento e se è a casa ci facciamo una birra insieme”, ed è quello che abbiamo fatto), scopri cose che non sapevi di gente che frequenti da tempo (non avrei mai detto che Susan, con la sua grinta da Raffaella Carrà della Pennsylvania, è per un quarto ucraina, un quarto ceca e metà polacca: nulla di che, ma mi fa stranezza pensarla come europea). Alla fine, non credo che cambierei il mio lavoro proprio per questa parte di contatto umano. Eppure c’è che alla fine ogni cosa ti stanca, c’è che vedi la polvere sotto il tappeto persiano, c’è che quando Sarah mi manda una mail chiedendomi se would you like to join us on Tuesday dico di sì non perchè ho voglia ma perchè devo, che qui le giornate lavorative non finiscono alle sei di sera ma alle due di notte – networking si chiama. E insomma non ho nessuna voglia, ma alle otto e mezza – quando vorrei essere al bancone di Hooters a bere birra ghiacciata guardando le Conference Series e allora sarei un uomo felice, ma felice davvero – mi presento nel mio dress code d’ordinanza, il business casual di queste occasioni, sorridente al piano bar del Bellagio. Stringo mani, mi presento, yes I live in Milan, when you’re heading back home, sorrido. Lavoro. E lo faccio bene, anche. Ma tu, per piacere, non venire a dirmi pensa a quelli che stanno sempre a Milano, pensa a me che non mi muovo mai; perchè, anche se io non farei mai il cambio con te, ho tutto il diritto di dire che anche se lo so benissimo che un sacco di gente vorrebbe essere al mio posto e anche se lo so benissimo che mi capiterà di dire “guarda, non hai idea di cos’è il piano bar del Bellagio” e anche se lo so benissimo che non mi dispiacerà stare su quei divani a bere vino bianco, vorrei semplicemente essere da un’altra parte, l’Old Fox di Piazza Sant’Agostino o un autogrill sulla Milano-Varese o il vecchio ristorante di Christoph sopra Merano o la stube bollente di Spitzingsee, che anche quello era lavoro ma non sembrava – e forse a quel punto non lo era più. Qui tu, come cento, come mille altri – ne è piena la Strip – ti divertiresti; non per la compagnia (anzi: forse, nonostante quella), ma per la musica, i drink, i colori, un LP che va a 45 giri, una drum machine a 130 battiti al minuto. Ma io non mi riempio così. E al Bellagio ci sono io, senza pensare a chi non si muove mai da Milano: sorry babe, that’s life – la tua, la mia, quella di tutti.