Ci fermiamo davanti agli schermi della vecchia Malpensa, dove orami i viaggiatori in giacca e cravatta sono tanti quanti i vacanzieri otto-giorni-e-sette-notti. L’aereo per Parigi ha un’ora e mezza di ritardo. Primo caffè, acquisto quotidiani. Il tempo di leggere un paio di pagine, e le ore di ritardo diventano due. Occhi al cielo, disbrigo mail, quattro chiacchiere. Adesso il ritardo scende a un’ora e cinquanta. Vado in bagno, va bene ti aspetto. Due ore. Ci spostiamo agli imbarchi. Rilettura dei documenti per la riunione del pomeriggio, altre quattro chiacchiere. Due ore e venti. Noia, abbrutimento; non ci sono nemmeno aerei in pista da guardare come fanno i bambini. Imbarco. Due ore e quarantacinque. Volo. RER. Altre quattro chiacchiere, un paio di telefonate. La banlieu parigina, brutta, triste e grigia come sempre. Trenta euro per due hamburger e due birre. Due ore e mezza di riunione. Taxi, RER. Ora di punta. Zaini, sacchetti di plastica, corani tascabili, valigette. Andiamo subito agli imbarchi, sì sono stanco. Una birretta, magari. Due mail, due sms, grazie di tutto. Che ne pensi della riunione, poteva andare meglio. Mezz’ora di ritardo. Ancora. Sete. Atterraggio. Pioggia.