Stato di eccezione
L’articolo di D’Avanzo sulla sentenza-Diaz merita una lettura. In particolare, è la fotografia del cosiddetto “stato di eccezione” ad essere secondo me interessante. Da un lato perchè illustra, con una certa chiarezza, l’atteggiamento di fondo di questo governo – un misto di decisionismo aziendalista e di insofferenza verso un sistema di regole che viene avvertito come una camicia di forza che impedisce il raggiungimento dell’obiettivo del (buon) governo. Dall’altro perchè fa riflettere su quanto questo atteggiamento non sia caratteristico del solo esecutivo e del manipolo parlamentare che lo sostiene, ma sia piuttosto largamente diffuso nella cosiddetta società civile. In altre parole, io credo che il famoso “lasciatemi lavorare” (e il corrispondente “lasciatelo lavorare”) non sia mai passato di moda, anzi. E questo non solo per il fascino che l’uomo forte esercita sull’italiano medio, ma anche – e chissà: forse soprattutto – per la diffusa sensazione che il sistema di regole, per quanto democraticamente stabilito, sia vecchio e sbagliato, che il suo rispetto ci metta in situazione di inferiorità nei confronti di cento altri paesi e che quindi lo “strappo alla regola” sia accettabile (ed anzi augurabile) in nome del principio secondo il quale il fine giustifica i mezzi. Ho la sensazione che in tanti ci stiamo acconciando a pensare che godere di un po’ meno di democrazia non sia poi questo gran male, perchè la democrazia che conosciamo è farraginosa, eccessivamente formale e per certi aspetti persino controproducente. Rileggendo quello che ho scritto, la cosa che mi preoccupa è che mi rendo conto, io vecchio “sincero democratico”, che ogni tanto quest’ultimo dubbio mi viene davvero, per stanchezza o per convinzione poco importa.
Repubblica.it