Exit
Entrare nella vita di una persona è un po’ come entrarle in casa. Ti può capitare di trovare la porta aperta, fai un primo passo, poi magari ne fai un altro e un altro ancora, e quasi senza accorgertene ti trovi – col consenso del padrone – a girarla tutta, e ti siedi sul divano, e guardi fuori dalla finestra, e dai un’occhiata nemmeno troppo imbarazzata dentro quel cassetto lasciato mezzo aperto. Capita che visiti quella casa ogni giorno, a volte ti ci fermi a lungo e a volte un po’ meno, resti a mangiare, parli del più e del meno e parli anche di qualcosa che va al di là del come stai e cos’hai fatto oggi. Ma il tempo passa, e non ci sono molte possibilità: o in quella casa ti fermi, oppure – impercettibilmente ma inesorabilmente – passi dallo starci un giorno a starcene mezzo, e poi tre ore, e poi due e insomma ci siamo capiti. Il cassetto rimane chiuso, sull’appendiabito vedi una giacca che non è tua e nemmeno del padrone, e allora fai un passo indietro, e poi un altro e un altro ancora, ti inventi un impegno, una telefonata da fare, non vuoi essere di troppo, non vuoi essere inopportuno, non vuoi fare domande. Essere amici, voler bene – e tanto – ad una persona significa saper uscire, pensi. Ed è quello che fai, accompagnando la porta.