Il giorno che ti alzi senza nausea
Vado a memoria: una donna su tre abortisce prematuramente, alla prima gravidanza.
Ci sono giorni che certi corridoi di ospedale sono pieni di donne con l’espressione vuota che provano a trovare consolazione nel constatare di non essere da sole, di non essere quelle con “qualcosa che non va”; a volte sono seguite da compagni smarriti, che vorrebbero fare qualcosa oltre ad andare a prendere un caffè alla macchinetta e ad accarezzare una mano, che vorrebbero poter provare lo stesso dolore ma non ce la fanno, semplicemente perchè non possono.
C’è chi tiene segreta la propria gravidanza: per scaramanzia, ma anche per un calcolo egoistico che mi sento di sottoscrivere senza il minimo dubbio: perchè sai cosa può succedere, e siccome è già dura realizzare che il bambino che avevi iniziato a sognare, a immaginare non nascerà, la pur sincera compassione altrui non farebbe altro che moltiplicare il dolore. Allora, meglio tacere, parlare solo se e quando quelle che si chiamano freddamente “probabilità di successo” cominciano a diventare consistenti.
C’è invece chi condivide da subito la propria condizione, e i propri sentimenti: gioia, ansia, dubbio, eccitazione. Un po’ per questione di carattere, un po’ per sfidare le paure con l’ottimismo della speranza: “aspetto un bambino, sai”. A volte va bene, a volte no. E quando non va bene, a volte trova comprensione, empatia, affetto, calore; a volte, invece, trova distacco, indifferenza, magari sarcasmo. Aprirsi agli altri è una scommessa, si vince e si perde, e senza una regola che faccia prevedere l’esito.
Poi si riprende, si fa un respiro profondo e si torna a camminare, ad alzarsi la mattina senza nausee, a truccarsi per andare in ufficio, a spingere il carrello della spesa, a guardare un dvd, a telefonare alla mamma, a sfogliare un catalogo per le prossime vacanze. Si fa finta di dimenticare, e non si dimentica mai.
Federica Mogherini