La guardia giurata
Di tanti di noi, sul vagone della metro, non si può dire nulla: siamo tutti uguali, non abbiamo alcunché che ci distingua l’uno dall’altro, né gli abiti né le parole, potremmo essere chiunque, qualunque cosa, impiegati di banca, insegnanti, pensionati, cassintegrati, sposati, celibi, vergini, ammalati di cancro, viaggiatori a riposo.
Lui, invece, si capisce subito chi è, e soprattutto cosa fa nella vita. La guardia giurata. Sale, con la sua divisa blu, il cappello da baseball calato sulla fronte, gli anfibi neri opachi, e soprattutto il cinturone, e la pistola. La pistola, già. E’ strano, per quell’aggeggio cacciato nella fondina la gente si comporta come se fosse nudo, prova ad evitare di guardarlo ma non ce la fa, perchè per noi impiegati di banca e insegnanti e pensionati le pistole sono come le astronavi o le pornostar, vivono solo in uno schermo, non sono cose reali ma finzioni, bang bang bang, la gente muore con un buco in testa ma lo sappiamo che è tutto uno scherzo, tutta una presa in giro. Invece, quel pezzo di ferro ha tutta l’aria di non essere finto, e infatti ci chiediamo se è carico, se c’è da fidarsi a stare in zona, non è che magari quest’uomo è così stanco alla fine delle sue otto o dieci o dodici ore di turno che si è dimenticato di scaricare l’arma e che ne so, una frenata improvvisa, una botta imprevedibile e parte un colpo. Ognuno di noi si fa il suo film, mentre lui si siede, anzi si accascia sul sedile e socchiude gli occhi gonfi di stanchezza, duecento persone che vanno e una – lui – che torna. E’ il destino di chi fa i turni, vivere fuori sincrono, sveglio quando tutti dormono, dormiente quando tutti sono svegli, né cena né pranzo né aperitivo. Mi chiedo se gli è mai toccato in sorte di dover davvero sparare, di trovarsi di fronte al ladro che cerca la cassa dell’agenzia di assicurazioni, al mafiosetto che deve far saltare due betoniere al cementificio che non ha pagato il pizzo, mi chiedo cos’ha fatto per quei milleduecento euro che porta a casa ogni mese, qual è il prezzo che ha dovuto pagare e che paga tutti i giorni per non avere una vita, per essere dimenticato dai figli avuti quando la vita sembrava promettere ben altro e ben di meglio, per trovare qualcuno che di fronte al suo sguardo sfatto e assente gli cede il posto a sedere, come se fosse un vecchio rugoso e cadente. Poi mi guardo intorno, e mi chiedo quanti fra noi altri, noi duecento che andiamo mentre lui torna, possono dire di avere una vita molto migliore rispetto a quella che io mi immagino lui conduca. Chiudo gli occhi per scacciare il pensiero, mentre lui riesce a tenerli aperti, perché se hai un’arma non ti puoi addormentare, anche se ti pagano uno sputo.
February 8th, 2009 at 23:46
questo intervento è veramente, dannatamente, bello.
e ci tenevo a fartelo sapere.
February 9th, 2009 at 13:06
Grazie.
February 9th, 2009 at 13:59
Ma come scrivi porca miseria. Sembrava di essere in quella metro. Gli anfibi opachi e gli occhi sulla pistola, che non si sa mai. Bello, mi piacciono i tuoi racconti in viaggio 🙂