Greetings from London ’09 – Westminster, 5 pm
Esco dalla stazione di St. James’s Park e vedo il sole che si riflette sulla strada lucida della pioggia delle ultime due ore. Cammino lentamente verso la Westminster Abbey, passo attraverso un centinaio di turisti impegnati a fotografarsi a vicenda e mi fermo davanti all’ingresso della chiesa. Mi accorgo, con ammirato stupore, che la facciata è adornata da quattordici statue, quattro che raffigurano Verità, Giustizia, Pietà e Pace – e dieci che riproducono martiri del nostro tempo, senza distinzione di razza o religione, Padre Kolbe e Martin Luther King e Wang Zhiming e Oscar Romero. C’è il sole, e faccio per andarmene perchè me lo vorrei godere; poi, non so perchè, cambio idea, penso che non sono mai stato dentro Westminster e qualche minuto posso spenderlo a guardarla dall’interno. E come sempre mi capita con le decisioni non programmate, con le deviazioni impreviste, arriva il colpo di fortuna. E’ appena iniziata la funzione, veniamo fatti sedere con un foglio in mano, e grazie a quello possiamo seguire la straordinaria esibizione del coro di Westminster, che accompagna salmi e Vecchio e Nuovo Testamento e le intercessioni per la famiglia reale. Il 90% dei presenti è un turista, ma nessuno si comporta da tale, nessuno si ferma in chiesa per i pochi minuti che permettono di tornare a casa e dire “La cattedrale? L’ho vista, sì; bellissima”; siamo tutti incollati alle nostre sedie e quando il coro termina il Magnificat e poi un inno scritto nel 1058 non si sa se facciamo più fatica a non commuoverci oppure a non applaudire chiedendo “ancora”, e non credo che uno solo tra noi sia pentito di non essere là fuori a godersi il profumo dei gelsomini dei Victoria Tower Gardens dove i ragazzi giocano a rugby mentre gli impiegati escono dagli uffici nei loro abiti eleganti e nelle loro scarpe da ginnastica. La luce del sole filtra attraverso le vetrate, per un momento penso alla sorella di Matteo che è in ospedale a Zurigo e spero che vada tutto bene, e per un momento vengo attraversato da un pensiero piccolo e meschino, penso che varrebbe la pena avere la fede solo per l’infinita e maestosa serenità che passa da quelle voci che arrivano dagli scranni in legno a pochi metri di distanza. Dopo tre quarti d’ora ci alziamo e sciamiamo lentamente verso l’uscita. Mi fermo davanti al cartello che chiede “Please remember all prisoners of coscience” e questa settimana a Westminsater pregano per Roxana Saberi imprigionata in Iran; mi dirigo verso l’uscita, e vengo salutato – come tutti – da almeno tre religiosi (come si chiamano? sacerdoti? pastori?) nelle loro vesti bianche e rosse, l’ultimo mi stringe la mano proprio sulla soglia della cattedrale e mi dice “Bye, God bless” e io vorrei davvero avere il tempo ed essere capace di dirgli qualcosa di più del semplice grazie che gli mormoro camminando verso l’esterno.