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29/05/2009
Yawn.
[In alternativa: Mah]
28/05/2009
Ho passato due ore nella sala d’attesa di un medico. In due ore si possono leggere parecchie cose: un numero dell’Espresso, uno di Oggi, uno di Repubblica (mi sono fermato davanti a Cosmopolitan perchè sono un represso che non è capace di leggere in giornali che strillano SESSO in copertina senza provare un qualche minimo imbarazzo). Tutti rigorosamente vecchi, alcuni di un giorno, altri di mesi. Alla fine mi veniva da ridere al pensiero di quanto siamo clamorosamente e penosamente smemorati, di come si possa davvero scrivere qualsiasi cosa senza mai pagare dazio: “La Russia si sta giocando il proprio futuro”, sosteneva pensoso un opinionista commentando la guerra con la Georgia a seguito dell’invasione dell’Ossezia, “Obama scontenterà tutti dopo pochi mesi”, rincarava quell’altro paventando l’elezione del primo presidente USA afroamericano, “Lo United è una squadra più completa”, chiosava il terzo pronosticando l’esito dell’incipiente finale di Champions League. E così via, ad libitum, tutto passato in cavalleria – e tutti ancora al loro posto, naturalmente, grazie a noi che non chiediamo mai il conto di nulla.
25/05/2009
Va bene, va bene, lo so anch’io che Al Capone è finito in galera per questioni fiscali e non per aver fatto secca mezza Chicago – quando si dice che il fine giustifica i mezzi, insomma.
E però il paragone non regge, perchè il PresDelCons – a differenza di Al Capone – ha alle spalle milioni di suoi concittadini che lo sostengono, che lo votano per quello che è, che dice e che fa; milioni di suoi concittadini per i quali il conflitto di interessi è una quisquilia, per i quali il dissesto delle finanze pubbliche altrettanto, per i quali la qualità della gestione della crisi economica è adeguata alla gravità della situazione. Milioni di suoi concittadini che, se Berlusconi non ci fosse, ne voterebbero un altro identico a lui – e non si può ogni volta trovare una Noemi per mandare a casa un governo.
21/05/2009
Ha fatto caldo, molto caldo per tutto il giorno. Ma arriva la sera, e con quella anche un filo di vento fresco. Sarà quello che porta in strada migliaia di persone: mai vista così tanta gente in giro per Ljubljana – e neanche a Milano, se dovessi dire la verità. Pare di stare a Madrid, o a Barcellona, ed è una sensazione strana, come quella che danno la neve sul Sahara, o il sole a Loch Ness. Non ho voglia di andare a mangiare, così mi perdo un po’ in giro dalle parti del Parlamento e dell’Accademia di musica; decido di non salire al castello come ho fatto le altre volte, ma di restare in mezzo alla gente sulle rive del Ljubljanski; mi fermo su uno dei ponti che attraversano il fiume, ad ascoltare una brass band che suona dei pezzi che sembrano scritti da Bregovic e arrangiati da Henry Mancini e per un po’ sono tutti allegri, fino a quando attaccano un pezzo lento che si capisce essere diverso da tutti gli altri, dev’essere una canzone tradizionale o qualcosa di simile perchè i due signori che mi trovo a fianco appoggiati alla balaustra del ponte ad un certo punto iniziano a canticchiare seguendo la melodia e sembra che cantino qualcosa che viene dalla loro infanzia. Ad uno degli estremi del ponte c’è un uomo con un microscopico banchetto di frutta e verdura, e mentre tutti seguono la musica e battono le mani e vanno a buttare spiccioli nella custodia del sax tenore lui rimane assorto a guardare non so cosa, un sedano forse, e non si potrebbe immaginare un contrasto più forte. Nessuno si muove fino a quando la band non ha finito, nemmeno il bambino che ha avuto paura di rompere il semicerchio per andare a buttare le sue tre monete insieme alle altre che sono l’ingaggio della serata di questi otto ragazzi. Cammino in mezzo alle decine di tavolini che riempiono le due rive, mi fermo a mangiare un sandwich, mi siedo in un altro pub a fianco di un signore che mi spiega che lui e i suoi colleghi si ritrovano ogni giovedì che Dio manda in terra per farsi un paio di birre, e lo fanno dal 1972, e me lo dice con un certo orgoglio che in quel momento mi sembra giustificato. Ascolto un trio blues fare una versione discreta ma troppo corta di “Cocaine”, compro un gelato, mi fermo in mezzo alla piazza davanti alla cattedrale, leggo “Ave Maria Gratia Plena” e mi viene in mente che a Londra ho visto una Ave Maria Road dalle parti di St. Paul, cerco di capire questa strana sensazione che ho fin dal primo pomeriggio, e forse la sensazione è quella di essere in vacanza – sembra che siamo tutti, io e Riko e Daniel e Borut e Dusko e le altre diecimila persone che in questo momento passeggiano, bevono birra, si baciano, telefonano, comprano un ventaglio, tutti siamo in vacanza. C’è proprio quest’aria, quella che si respira nei posti di mare anche se qui ogni anno butta giù un metro di neve, l’aria sospesa delle cose finite e delle cose non ancora iniziate, come se fosse venerdì sera, come se fosse estate.
Esco dall’albergo e mi incammino lungo Celovska Cesta, andando verso il centro della città; guardo l’ingresso alla zona di Bezigrad, dove pare di entrare in un paesino degli anni Cinquanta, con le case basse e le vie strette e inspiegabilmente vuote, continuo verso Slovenska Cesta e poi decido di entrare nel parco – che poi un giorno cercherò una spiegazione al perchè i parchi di mezza Europa si chiamano Tivoli – perchè è la terza volta che vengo a Ljubljana e non ci ho mai messo piede. Sfido l’allergia, lo attraverso guardando l’erba da poco tagliata, un’erba stranamente poco verde, la collina di Sisenski hrib e quella di Tivolski vrh, la gente che si stende a prendere il sole, una ragazza di una bellezza quasi impressionante per il contrasto degli occhi verdi con i capelli castano-ramati che spinge un passeggino con a bordo due gemelli biondi e silenziosi, un gruppo di joggers e uno di gente che occupa uno spiazzo di cemento per fare stretching e tra loro spicca la macchia di una ragazza dalla pelle nera che più nera non la si può immaginare – e in quel momento realizzo che è la prima persona di colore che vedo in Slovenia nei sette o otto giorni che complessivamente ho trascorso nel paese. E’ un parco strano, Tivoli; o forse sono strano io, non so, perchè le cose non sono come sono, ma sono come le vedi.
Conosco Riko da un paio d’anni. Ci siamo visti quattro volte, e sentiti forse dieci o dodici. Alcune riunioni, tre o quattro pranzi, una sera al Casinò di Portoroz; niente di che, a ben vedere. Non ci definiamo amici, non lo siamo e abbiamo abbastanza pudore per non usare il termine in quell’accezione bieca alla quale ormai abbiamo tutti fatto l’abitudine. Però ci troviamo bene, per motivi che non saprei spiegare; e così Riko, che ha una decina d’anni più di me, una volta mi racconta che i suoi hanno deciso di concepirlo perchè suo padre stava per essere richiamato nell’esercito in vista di una possibile guerra con l’Italia, e oggi mi parla della moglie, del suo tumore, dell’operazione, della chemioterapia. Io rimango un po’ interdetto, a volte mi chiedo cos’ho che la gente mi parla delle sue cose, di cose delle quali io probabilmente non parlerei con loro perchè non ne parlerei con nessuno se non con due o tre persone al mondo, lo ascolto e gli dico in bocca al lupo, ci stringiamo la mano perchè lui deve scappare in ospedale visto che oggi la moglie torna a casa, mi dice “grazie per essere venuto, spero di rivederti presto” e mi sembra che non sia la classica frase fatta che conclude questi incontri di lavoro, “thank you for coming”. Lo guardo uscire dalla porta con il passo veloce e il giubbotto appoggiato nell’incavo del gomito, mi chiedo se e quando lo rivedrò.
20/05/2009
Ora, passi per i titolisti di Repubblica.it, che non sono noti per la sobrietà del prodotto delle loro fatiche: che scrivano loro “Allarme rosso” ci sta – credo anzi che una certa qual dose di allarmismo sia parte integrante del loro mansionario. Ma che ci si metta anche la Protezione Civile a definire “condizioni metereologiche a rischio” un paio di giorni sopra i trenta gradi, ecco, non è appena appena esagerato?
Repubblica.it
19/05/2009
Per come la vedo io, la FdL serve a scremare l’universo dei potenziali lettori: se uno la visita e ne esce avendo ancora voglia di comprare un libro e – addirittura – leggerselo, la FdL ha raggiunto il suo scopo. In altre parole, ci sono pochi posti che ti fanno passare il desiderio di prendere in mano un qualsiasi tomo quanto la fiera di settore.
Pare che la FdL si divida in due grandi aree: “Editori seri” e “Casbah“. Quale fosse la Casbah credo di averlo capito (la FdL nel suo insieme), sugli editori “seri” preferirei non esprimermi.
Quelli che dicono “ma come cazzo è possibile che la gente abbocchi al phishing” dovrebbero fare un giro alla FdL, e vedere che razza di libri vengono stampati – e venduti.
E’ da sabato che ci sto pensando, ma mentirei se dicessi di aver capito il senso della presenza dello stand dell’Esercito Italiano (non che quella delle Camere di Commercio fosse più ricca di significato, ai miei stanchi occhi, ma glissiamoci su).
I generi di conforto (acqua, toast, Cornetto Classico) costano come l’uranio arricchito. Dev’essere per quello che non appena un espositore ardisce offrire due tramezzini e quattro pizzette viene assaltato come i forni dei Promessi Sposi.
15/05/2009
Avete presente quelle persone alle quali vi affezionate durante gli anni, quelle che non avete mai incontrato per un motivo o per l’altro, quelle che poi ve le trovate di fronte senza preavviso entrando in un pub di una città che non è la vostra e sono esattamente come ve le immaginavate? Io continuerei a tenere un blog per persone così, ecco, per persone come Lara.
Bonzo Bar
Non che io abbia capito chi sia un blogger da pausa, però magari riuscite a farlo voi leggendo la sapida intervista rilasciata dal titolare qui all’allegra banda di InPausa.
InPausa
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