La penna rossa
Come spesso capita, le cose della vita le capisci dopo. Vent’anni fa passavo i miei primi giorni nella caserma della Scuola Truppe Corazzate di Caserta, e cercavo semplicemente di sopravvivere alle adunate, alle marce, alla mensa, osservando attonito un ragazzo di Prato allo Stelvio che non sapeva parlare italiano mentre gli venivano tradotti i comandi dei caporali istruttori – lo stesso ragazzo di Prato allo Stelvio con il quale avrei trascorso gli undici mesi successivi in quel di Merano. Una mattina il comandante della caserma ci disse che era successa una cosa importante, che a Berlino era caduto il Muro, credo che aggiunse qualche parola sulla libertà ma non ne sono tanto sicuro. Ero lì, ma in qualche modo dormivo, un po’ come Ulrike nel suo letto di Berlino Est. A pensarci, ancora oggi sono più affascinato dai racconti in stile “La vita degli altri” che dalle immagini delle Trabant che entrano in colonna a Berlino Ovest. Forse perché quella della caduta del Muro è un’emozione che non ho vissuto, non so: ma per fortuna ogni tanto ti passa sotto gli occhi una piccola immagine, come quella di un diario che inizia a essere scritto in rosso, con le lettere grandi e sottolineate, e trovi un pezzetto di quel qualcosa che non hai avuto prima.
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