“Gesù, e voi?”
Passo la notte di Capodanno con le stesse persone da venticinque anni, più o meno. Nel corso del tempo si sono aggiunti i figli, e oggi qualcuno di questi è abbastanza grande da non venire più alla festa perché – per sua fortuna – esce con i suoi amici. C’è stato un tempo nel quale ci vedevamo tutti i giorni; poi la frequenza è scesa, l’università, il lavoro, altre conoscenze, le famiglie, oggi magari ci vediamo – non tutti, non tutti insieme – una o due volte al mese. Ma qualcosa siamo riusciti a salvare, e in giorni come questi ci siamo tutti, quella trentina di persone con le loro cose nuove, le loro incrostazioni, i ricordi comuni e quei piccoli o grandi programmi – una casa da rogitare, un lavoro nuovo, un figlio inatteso – che diventeranno, per piccola o grande parte, di tutti.
Ieri mancava una persona all’appello, e un brindisi è stato per lui – “torna presto, D.” – e c’era più di un occhio gonfio per il magone. Ma ci si tiene dritti, ci si tiene stretti perché è così che si fa. Stephen King scrive, a metà di “Stand by me”: “Non ho mai più avuto amici, in seguito, come quelli che avevo a dodici anni. Gesù, e voi?”. Ecco, io non lo so com’è per voi; io so che ieri sera certamente c’erano in giro feste più brillanti e piatti più raffinati: ma questi sono i miei amici, quelli che ogni tanto mi dimentico di avere, quelli che spesso trascuro, quelli che ogni anno – per fortuna – sono qui.