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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    31/08/2010

    Over 200 years

    Filed under: — JE6 @ 12:10

    Mi alzo, vado verso l’armadio dove ho quel minimo di archivio cartaceo del mio lavoro, passo davanti a una mensola. C’è una scatola di carta per fotocopie, sopra. Una di quelle viste mille volte, ma mi casca l’occhio. C’è un simbolo, un bollino blu con una sigla ISO in bianco all’interno, e una scritta. Archival life over 200 years. 200 anni. E niente, rimango lì a guardare queste cinque parole, penso che siamo tutti qui che non sappiamo dove saremo, cosa faremo, chi saremo fra tre mesi, penso agli hard disk, ai virtual storage, penso confusamente – allontanandomi, perché i colleghi mi guardano straniti mentre fisso attentamente una scatola di cartone – alla memoria, ai cassetti di casa e di ufficio dove si accumulano cose che poi si perdono, si mischiano, si decompongono, vengono buttate via per mancanza di spazio, penso alle risate di quelli del marketing della carta per le fotocopie (“150?”, “ma no, dai, abbondiamo, facciamo 200”, “bon, allora facciamo oltre 200 e non se ne parli più”), penso alla sottile malinconica inquietudine che queste cinque parole mi fanno girare nello stomaco, apro l’armadio, tiro fuori il mio raccoglitore ad anelli, quello rosso che in costa ha scritto il mio nome e l’anno, chissà quanto reggerà, magari over 200 years.

    Con la fetta di pane e Nutella in mano

    Filed under: — JE6 @ 10:40

    Questa mattina stavo facendo colazione, ero da solo per via di orari un po’ sfasati rispetto al solito, una notte così e un risveglio pure, e leggevo, sto leggendo “Il vangelo secondo Gesù Cristo” di Saramago, ero lì con la fetta di pane e Nutella in mano e leggevo, leggevo di quando Giuseppe sente e vede i soldati romani dirigersi verso Betlemme per uccidere tutti i bambini sotto i tre anni e allora lascia il lavoro e corre verso la grotta, ma non può correre dentro la città perché altrimenti desterebbe sospetti, allora è costretto a camminare, solo appena appena più velocemente di tutti gli altri, è lì che vorrebbe correre e gridare e la testa gli scoppia ed è preso dalla più grande paura del mondo, l’ansia, il terrore, poi arriva alla porta della città e corre corre corre fino a quando arriva a quella che è stata la sua casa negli ultimi due mesi, che è una grotta col pavimento ricoperto di paglia e il bambino è ancora lì, con la madre, sono vivi tutti e due, e lui sente le gambe tremare, sente l’acido in bocca, cerca di calmarsi, e fuori si sentono le grida delle madri che vedono i figli ammazzati dai legionari, e io ero lì con la fetta di pane e Nutella in mano con lo stomaco arrotolato per i fatti miei, e loro si nascondono nel buio della grotta e sperano sperano sperano, trattengono il fiato e sperano, pregano e sperano, io ero lì con la fetta di pane e Nutella in mano.

    30/08/2010

    Il primo giorno di scuola – Reprise

    Filed under: — JE6 @ 11:33

    Il primo giorno di scuola, poi, è più o meno come te lo aspettavi, come lo conosci – dopo un po’ si assomigliano tutti. Qualche minuto di cincischiamento, come quando sei all’inizio del sentiero di montagna e ci impieghi il doppio del tempo per stringerti le stringhe delle scarpe, c’è chi parla della partita di ieri, chi sbuffa a sentirne parlare, chi beve un caffè per abitudine e chi come training autogeno, e poi le cuffie nelle orecchie e le prime telefonate. Durante il primo giorno di scuola non bisogna spingere troppo sull’acceleratore, ci pensano già i clienti e i fornitori e gli arretrati di luglio a tenerti sotto pressione, per il resto bisogna farsi forza, avere pazienza, aspettare, perché al primo segue il secondo, hai visto mai che sia un po’ migliore.

    29/08/2010

    Il primo giorno di scuola

    Filed under: — JE6 @ 16:22

    Sì, qualcuno ha iniziato prima. Ma il giorno vero è domani. Il primo giorno di scuola, vacanze finite, grembiulino nero o bianco, fiocchetto azzurro o rosa, la cartella nuova oppure quella dell’anno scorso se è ancora in buono stato, le matite temperate di fresco, la merenda. Ma siccome non abbiamo più sette anni ci manca l’entusiasmo di trovare i compagni di classe, e quel che facciamo, nella domenica del villaggio, è cercare di non pensare a nulla – senza riuscirci – e poi tirare un lungo respiro che ci porti a domani, buongiorno signora maestra, buongiorno bambini, come sono andate le vacanze, avete fatto i compiti?

    Miss ya

    Filed under: — JE6 @ 09:00

    Un paio di giorni fa ho scritto un pezzo, una manciata di righe che un amico raccoglierà in un ebook insieme a – spero molte – altre. Racconta di una notte di mille anni fa, potevo votare da poco e dormire per terra mi costava molta meno fatica di quanto non me ne costi oggi. Rileggendolo ho preso una nota: “a volte mi manco”.

    28/08/2010

    As seen on TV

    Filed under: — JE6 @ 11:15

    Sono stato due settimane e spiccioli senza guardare la televisione. Zero. Ah no, scusate, devo aver passato un paio di minuti nel porto di Igoumenitsa a cercar di capire quanto stava facendo la Sampdoria.
    Ora. Il punto non è se la cosa sia fattibile o meno. Certo che è fattibile. Solo, mi chiedo: serve? Voglio dire, serve a qualcosa oltre a tirarsela da “ommioddio l’istrumento del dimonio, lo scatolone inutile, Bruno Vespa, tanto io trovo tutto sull’Internet”? Risposta mia: no. A me la televisione piace. Serve. Perché a dirla tutta, io alle diete monoingrediente mica ci credo tanto, anzi. Ogni cosa ha il suo ruolo, poi possiamo pure provare ad autoconvincerci che tutto è sostituibile, per contenuti e modalità di fruizione: in fondo, basta crederci. Poi, chissà come mai, se uno vuole davvero vedere un film allora va al cinema. E l’Internette, quella, ecco: boh, magari mi sbaglio io, ma a me pare piena di contenuti televisivi, pensati e fatti per la televisione. Poi scaricati e guardati su uno schermo da dodici pollici. La televisione in sedicesimo, però non la si chiama così e allora va bene.

    27/08/2010

    Autostima

    Filed under: — JE6 @ 09:57

    Gli italiani sono quelli che vanno in vacanza e son contenti di non trovare altri italiani. Cioè se stessi.

    26/08/2010

    La musica bassa, che non disturbi

    Filed under: — JE6 @ 11:13

    Succede che sono le tre di notte e stai passando tutti i caselli della via crucis di una regione che per una vita ti è stata indifferente e adesso si è piazzata lì che sembra che non la smuova nessuno – Cesena, Forlì, Imola. Sono le tre di notte e fa caldo, e ti viene in mente quel lunedì di dicembre, che alla diramazione c’era la neve, e cadeva fitta, e poi fu pioggia a secchi dal caffè di legni e specchi per ore e centinaia di chilometri fino alla basilica sulla collina, quel lunedì di dicembre che fece cambiare tante cose, alcune per sempre e alcune chissà. Succede che sono le tre di notte, e la strada è ancora lunga, e mangi un biscotto, bevi a canna dalla bottiglia dell’acqua e metti la musica bassa, che non disturbi.

    23/08/2010

    Sei minuti

    Filed under: — JE6 @ 22:49

    Sei minuti è il tempo che occorre al ponte rotante di Lefkada per aprire le porte della laguna, far passare le barche incolonnate l’una dietro l’altra e richiudersi. Sei minuti non sono molti. Ma sono abbastanza per farci spegnere il motore e abbassare i finestrini, e guardare il sole che si abbassa sull’acqua a ovest, e rimirare la sagoma delle colline dentro l’acqua a est. Osserviamo le barche a vela, e un gabbiano che galleggia solitario, e due persone in bicicletta, e sembra tutto fermo e perfetto. Diciamo qualche parola a bassa voce, lo stereo in sottofondo passa “Bad”, “sembra la canzone giusta per questo momento”, “sì, basta non pensare alle parole ed è vero”, e poi è silenzio. Sei minuti servono a staccare, anche se non abbiamo fretta, anche se abbiamo già staccato, anche se ci stiamo muovendo lungo questi giorni con la lentezza che possiamo – sei minuti possono essere sufficienti a prendere congedo da se stessi, almeno fino a quando il ponte si muove e le lagune si richiudono e i motori si riaccendono e i finestrini si rialzano e si tira un respiro lungo, dai che si va, hai visto quel fusto di cannone, cosa si fa per cena.

    20/08/2010

    Semi

    Filed under: — JE6 @ 22:56

    Alle Sacre Meteore ci arrivi, se vieni dalle parti di Lefkada e Preveza, facendo un viaggio che pare quello di Phileas Fogg – il mare di tutte le sfumature del blu, le montagne che paiono di roccia dolomitica, i fiumi, i boschi fitti, le strade che ghiacciano durante l’inverno, le curve che se ti precede un camion vai così lento da poter vedere ogni singolo ago di pino e le rughe della donna che sta dando acqua alle piante. Quando sei lì ti pare di guardare uno scherzo della natura, comignoli e speroni di pietra isolati, piantati nella terra come gli stuzzicadenti nei pomodori che un omone greco ci ha offerto ieri sera mentre bevevamo birra guardando le onde del mare mosso. E là, sulle cime, i sei monasteri, quelli piccoli e quelli grandi, uno più bello e misterioso dell’altro. Nel caldo implacabile ti fermi a pensare a com’era qui la vita cinquecento anni fa, e provi una specie di ipnotizzata ammirazione per un’opera dell’uomo che pare non avere alcuna utilità, anzi la ammiri proprio per quello, per la gigantesca apparente assenza di senso del costruire edifici che nemmeno il più spericolato architetto riuscirebbe a immaginare in luoghi tanto inaccessibili per consentire a una manciata di uomini di passare i quattro quinti della loro vita da svegli immersi nel silenzio a pregare qualcuno o qualcosa che chissà chi è, e chissà – soprattutto – se c’è. Mentre sali gli scalini che ti portano al più piccolo tra i monasteri delle Meteore ti arriva un messaggio da una delle persone che più ti sono care, e quando qualche minuto dopo sei con il naso rivolto verso l’alto a guardare attonito gli affreschi della microscopica cappella ripensi a quel messaggio e ti dici che a volte – a volte – le persone si incontrano perché ne hanno motivo e persino necessità, perché tu trent’anni fa e io oggi, perché a volte – a volte – non tutto è un caso come sembra, perché qui tutto pare insensato e invece c’è un filo rosso, perché di cento semi gettati uno è arrivato qui, alle Sacre Meteore, e tu lo stai guardando, perché adesso l’hai riconosciuto.