Al bar
C’è questo bar dove vado spesso. Come in tutti i bar, si beve qualcosa e si parla delle cose che capitano, che si vedono, che si sentono in giro. Ieri stavamo lì con gli occhi puntati verso il televisore che il barista ha messo nell’angolo in alto a sinistra, guardavamo i sampietrini e gli incendi e i caschi e la gente che correva. Uno ha detto figli di puttana, e non si è capito se parlava dei poliziotti o degli studenti o di quegli altri con il passamontagna, una ha detto che le sarebbe piaciuto essere lì a tirar pietre anche lei, un altro, senza neanche guardarla, ha detto machecazzodici ed è uscito a fumarsi una cicca sul marciapiede, qualcuno si è messo a discutere se tirare i sassi e spaccare le vetrine serva a qualcosa, nelle voci che si alzavano ho sentito chi diceva che magari non serve a nulla ma è giusto farlo, c’era una che sosteneva che quella era l’unica cosa possibile, il barista ha portato degli altri caffè mentre gli animi si scaldavano e iniziavano quegli scambi come quando si parla di calcio o di politica, tu non sei mai stato giovane ma tu che cazzo ne sai pensi che il mondo sia stato cambiato solo da quelli che sprangavano e tu a Genova non c’eri e per fortuna che non c’ero sei un vecchio e lo sei sempre stato hai mai visto un tuo parente saltare su una bomba ma guarda che faccia La Russa. Io mi sono azzittito, che una cosa che non so fare bene è litigare con la gente, mi ci trovo a disagio, e poi non sono mai così pienamente convinto di aver ragione, magari se nel 1983 fossi sceso in piazza anch’io oggi le cose sarebbero messe meglio, epperò qualcosa di buono nella vita e per la società abbiamo fatto pure noi che ci sentivamo male a gridare slogan ordinati da altri, da quelli che vedevamo in assemblea e conoscevamo bene e sapevamo davvero chi erano e come la pensavano e insomma alla fine ho preso l’ultimo caffè della giornata e sono uscito dal bar anch’io, ma non fumo.