Radici
La collina è immersa nella nebbia, sui prati rimasti in ombra per giorni interi rimangono resti di neve incongruamente bianca. Al centro di un piccolo spiazzo i cinque uomini stanno in piedi, intorno a un largo paiolo di rame fumante, passandosi l’un l’altro un cucchiaio di legno, grande, altissimo, con il quale mescolano a turno la polenta che tra mezz’ora porteranno in tavola. Di tanto in tanto ravvivano il fuoco, e ridono quando i salti dell’aria gettano in faccia al malcapitato di turno nuvole di fumo caldissimo che fa lacrimare gli occhi. Nei bicchieri di plastica si passa il vino che apre la strada ai racconti, vi ricordate quando siamo rimasti bloccati dalla neve, e tutta l’Aurelia fatta senza mai mettere la sesta, ma lascia perdere, e quando ci siamo scontrati con le barche a remi, ma dove, in Baviera, oddio sì mi ricordo, prova ad assaggiare, a me sembra salata, ma quanto si sta bene qui. In una breve pausa di silenzio, come una parentesi, come un riposo dei rimbalzi delle voci attutite dall’umidità spessa e pesante, uno dei cinque si stacca dalle radici della vita che hanno passato insieme e guarda verso il fondo della valle, verso la città dove abitano, la città nella quale sono nati e cresciuti. Davanti a sè vede solo il grigio lattiginoso della nebbia. Dovremo scendere prima che faccia buio, mormora. Il più vicino dei quattro amici gli si avvicina porgendogli la bottiglia quasi vuota, bevi cristosanto, che a quello ci pensiamo dopo.