Andiamo avanti
C’è quest’uomo, che di solito sta davanti all’ingresso del Seminario Arcivescovile di Milano, in Corso Venezia. Da lì bastano forse cinquanta secondi per arrivare in via della Spiga, in tre minuti stai in via Montenapoleone. Porta un cartello al collo, a volte ha anche uno di quei treppiedi da pittore, quelli sui quali si appoggia il quadro da dipingere, e lui ci mette sopra un altro cartello, anche quello scritto a mano. L’ultima volta che lo avevo visto – da quelle parti non passo tanto spesso – la scritta diceva “non sono comunista” e lì per lì, dopo aver tolto dagli occhi l’immagine di Veltroni, mi veniva da sorridere perché suonava come una forma bizzarra ma ben studiata di captatio benevolentiae nella città che era talmente poco di sinistra da aver accettato quasi vent’anni di Formentini-Albertini-Moratti. Oggi sono ripassato, ciondolavo facendo il turista a casa mia, e si vede che il nostro eroe si è adeguato ai nuovi tempi della politica cittadina, perché il cartello che teneva sul petto con uno spago che gli girava intorno al collo recitava “Ho sessantatre anni e non prendo alcun contributo. Andiamo avanti” – ed è da quasi dodici ore che penso a quell’ultima riga, “andiamo avanti”, che chissà cosa vuol dire, se è rassegnazione, se è siamo tutti nella stessa barca, se è datemi una mano perché non posso continuare così ancora a lungo, ma forse alla fine sono due parole che non hanno bisogno di tante analisi, andiamo avanti, e infatti se domani passate in Corso Venezia 11 mi sa che lo trovate ancora lì, e pure dopodomani, e anche martedì, un po’ come tutti. Andiamo avanti.