Le figurine, viste dall’alto
Ci sono questi alberghi, a Las Vegas. In realtà non è la parola giusta, loro in generale li chiamano resort, puoi entrare e non uscirne più. Cinquemila stanze, trenta piani, quattro ali, venti minuti abbondanti per attraversarli, per andare da un ingresso a quello opposto. Quando viene buio li guardi da fuori, e li vedi brillare – il verde elettrico dell’MGM, il rosso e il blu e il giallo del Mandalay, il rosso dell’Hollywood, il bianco delle fontane del Bellagio; li fissi, con i piedi che calpestano le figurine delle puttane a quaranta dollari sparse sui marciapiedi della Strip, li guardi come dei totem enormi che ti ipnotizzano, a volte fai “oh” senza accorgertene. Poi torni in camera, prendi l’ascensore, sali. Sali, sali, sali, percorri i lunghissimi corridoi, passi a fianco della macchina del ghiaccio, su una porta sono appesi i festoni di un piccolo party di compleanno, entri, vai alla finestra, e fissi le stesse luci, da dentro, da un altro punto di vista, le fissi dall’alto, da molto in alto. Là sotto ci sono ancora le figurine sui marciapiedi.