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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    31/05/2012

    Greetings from Ljubljana 2012 – Tre anni dopo

    Filed under: — JE6 @ 23:19

    Ci sediamo sulla terrazza del ristorante, in mezzo agli alberi e tra le case del centro storico, parliamo di lavoro e del Brasile del 1970, e allora cosa ti ha detto, mah ha parlato di Dubai e Algeria, com’è questo vino, niente di che però è fresco, e dopo un po’ faccio caso alla musica, non è il funky che suonavano ai Tre Ponti due ore fa, è un sassofono, un po’ patinato, una cosa alla Fausto Papetti, però va bene, ci accompagna pian piano alla fine della giornata che è stata così lunga da sembrare iniziata l’altroieri, è un sassofono che viene da chissà dove, forse dalla riva del fiume dove sta quel palazzo con la bandiera italiana, stiamo zitti per un po’ e ascoltiamo, e a me torna in mente quella sera di tre anni fa, proprio qui, con lo stesso caldo e lo stesso sciame di ragazze e turisti e skaters e zingari felici che si muove da un ponte all’altro della città, dev’essere stata quella sera in cui ho notato per la prima volta quel locale che brilla nel buio della sua luce violetta, e allora quando torno in albergo accendo il computer e cerco e rileggo e guarda com’è strana la vita, che son passati tre anni e una manciata di giorni, era maggio ed è maggio e sembra proprio la stessa sera, è quasi uguale, quasi, quasi, era una bella sera calda di maggio quella, e allora eccola qui, come se fosse adesso, come se, e anche no:

    Ha fatto caldo, molto caldo per tutto il giorno. Ma arriva la sera, e con quella anche un filo di vento fresco. Sarà quello che porta in strada migliaia di persone: mai vista così tanta gente in giro per Ljubljana – e neanche a Milano, se dovessi dire la verità. Pare di stare a Madrid, o a Barcellona, ed è una sensazione strana, come quella che danno la neve sul Sahara, o il sole a Loch Ness. Non ho voglia di andare a mangiare, così mi perdo un po’ in giro dalle parti del Parlamento e dell’Accademia di musica; decido di non salire al castello come ho fatto le altre volte, ma di restare in mezzo alla gente sulle rive del Ljubljanski; mi fermo su uno dei ponti che attraversano il fiume, ad ascoltare una brass band che suona dei pezzi che sembrano scritti da Bregovic e arrangiati da Henry Mancini e per un po’ sono tutti allegri, fino a quando attaccano un pezzo lento che si capisce essere diverso da tutti gli altri, dev’essere una canzone tradizionale o qualcosa di simile perchè i due signori che mi trovo a fianco appoggiati alla balaustra del ponte ad un certo punto iniziano a canticchiare seguendo la melodia e sembra che cantino qualcosa che viene dalla loro infanzia. Ad uno degli estremi del ponte c’è un uomo con un microscopico banchetto di frutta e verdura, e mentre tutti seguono la musica e battono le mani e vanno a buttare spiccioli nella custodia del sax tenore lui rimane assorto a guardare non so cosa, un sedano forse, e non si potrebbe immaginare un contrasto più forte. Nessuno si muove fino a quando la band non ha finito, nemmeno il bambino che ha avuto paura di rompere il semicerchio per andare a buttare le sue tre monete insieme alle altre che sono l’ingaggio della serata di questi otto ragazzi. Cammino in mezzo alle decine di tavolini che riempiono le due rive, mi fermo a mangiare un sandwich, mi siedo in un altro pub a fianco di un signore che mi spiega che lui e i suoi colleghi si ritrovano ogni giovedì che Dio manda in terra per farsi un paio di birre, e lo fanno dal 1972, e me lo dice con un certo orgoglio che in quel momento mi sembra giustificato. Ascolto un trio blues fare una versione discreta ma troppo corta di “Cocaine”, compro un gelato, mi fermo in mezzo alla piazza davanti alla cattedrale, leggo “Ave Maria Gratia Plena” e mi viene in mente che a Londra ho visto una Ave Maria Road dalle parti di St. Paul, cerco di capire questa strana sensazione che ho fin dal primo pomeriggio, e forse la sensazione è quella di essere in vacanza – sembra che siamo tutti, io e Riko e Daniel e Borut e Dusko e le altre diecimila persone che in questo momento passeggiano, bevono birra, si baciano, telefonano, comprano un ventaglio, tutti siamo in vacanza. C’è proprio quest’aria, quella che si respira nei posti di mare anche se qui ogni anno butta giù un metro di neve, l’aria sospesa delle cose finite e delle cose non ancora iniziate, come se fosse venerdì sera, come se fosse estate.

    30/05/2012

    Greetings from Ljubljana 2012 – Business as usual

    Filed under: — JE6 @ 16:05

    Forse in qualche modo puoi dire di essere come a casa quando passi davanti alle cose che poco fa erano nuove e non ci fai più caso.

    25/05/2012

    L’anno che è passato

    Filed under: — JE6 @ 08:45

    Ci sono tanti modi di misurare il tempo. C’è il ciclo lunedì-venerdì, e quello più corto sabato-domenica che a volte è già finito quando inizia il Gran Premio di Formula 1. C’è quello che va da un capodanno all’altro. C’è quello che va da un buco nella cintura a un altro, da una 48 a una 46. C’è quello dal quale non siamo più usciti dall’età di sei anni, che inizia a settembre e finisce cinquanta settimane dopo, in coda al casello di Melegnano. C’è quello ho-iniziato-questo-lavoro-il-primo-febbraio-dell’anno-scorso. C’è quello che va da una visita al cimitero a quella successiva. Oggi è un anno giusto che mi hanno dato questa macchina, ho guardato il contachilometri, ho visto una cifra che è quella della circonferenza della Terra all’Equatore, dentro quei cinque numeri ci stanno un sacco di cose, qualche centinaio di ore con il volante tra le mani, ansie prima degli appuntamenti, sollievi di ritorno, piogge torrenziali e tramonti abbacinanti, aree di servizio che non arrivano mai, parcheggi improbabili, incidenti sfiorati, vacanze conquistate, un sacco di cose che alla fine forse, chissà, magari l’anno vero è stato questo qui, quello che va da un concessionario a un tagliando di manutenzione.

    17/05/2012

    Tutto tranne

    Filed under: — JE6 @ 14:55

    Puoi fare tutto in videoconferenza, dice. Quasi tutto, forse. Tutto tranne capire la persona, sentire come reagisce quando inizia a salire la tensione, se le si accorcia il respiro, se tamburella con le dita sul tavolo, se si trattiene dal fare un gesto plateale o scortese, tutto tranne vedere se le si blocca l’appetito quando sul tavolo vengono messi i fogli con numeri che nessuno vorrebbe vedere, tutto tranne rallentare il passo quando la riunione è finita per riservare gli ultimi due minuti, quelli più preziosi, a tre frasi che spiegano quel che prima non poteva o voleva esser detto mentre l’ascensore arriva al piano. Tutto tranne sentire la persona, e riuscire a capirla per davvero quando ci parli al telefono, e saper intendere cosa vuol dire se prima la senti tutti i giorni e poi una volta alla settimana, se scrive ciao come stai oppure buongiorno, tutto tranne riuscire a percepire il momento in cui sei passato dall’essere una persona di cui fidarsi all’essere un fornitore – puoi fare tutto in videoconferenza, dice, tutto tranne le cose che contano.

    14/05/2012

    Senza titolo

    Filed under: — JE6 @ 15:24

    Non so voi, ma io la mattina se posso mi prendo cinque o dieci minuti e seguo in tv la cosiddetta edicola, quella di Sky Tg24. Cinque minuti, venti giornali, i conti potete farli anche voi, il conduttore ha giusto il tempo di leggere i titoli, e in fretta, come in quelle pubblicità in radio che si chiudono con “Aut. Min. Ric.”, se avete presente. I titoli, comunque. Ogni tanto mi chiedo come sarebbero i giornali senza titoli, trenta, quaranta, settanta muri di testo senza caratteri cubitali, senza richiami e riassunti e slogan e specchietti per le allodole, sarebbero roba invendibile immagino, perché alla fine quello compriamo – i titoli, una volta letti e imparati quelli sappiamo tutto, il resto costa troppa fatica. Epperò, hai visto mai.
    [No, è che mi è capitato di sentire Piero Grasso, non so se avete presente la faccenda del “dare un premio a Berlusconi per la lotta alla mafia”, l’ho sentito alla “Zanzara” di Cruciani e Parenzo mentre questa cosa cercavano in tutti i modi di tirargliela fuori e lui ha usato un giro di due o trecento parole, che erano quelle che servivano ma erano troppe per fare un titolo, e infatti, ci siamo capiti] (Sì, ok, a volte mi capita di sentire Cruciani e Parenzo, dura poco perché mi innervosisco in fretta e comunque posso smettere quando voglio, ecco)

    13/05/2012

    Concessione scaduta

    Filed under: — JE6 @ 11:08

    Le pareti, a vederle in prospettiva, sembrano due lunghissime, enormi bacheche di una qualsiasi università, o la faccia di un bambino con la varicella, centinaia di macchie arancioni dal pavimento al soffitto. Quando ti avvicini capisci, sono foglietti quadrati, sopra c’è scritto Urgente – Concessione scaduta, chi li ha attaccati ha fatto quel che ha potuto ma lo spazio è quello che è, i foglietti arancioni stanno a due, tre centimetri dalla fotografia, dal nome, dalle date, da i tuoi cari – sono lì da mesi quei foglietti, li guardi e ti chiedi quanto possa valere una scadenza per un morto, dimmi cos’è che scade, cosa puoi fare, spostare le mie ossa da qui a lì, toglierle da un buco scavato dentro una parete per gettarle in un buco nel primo prato che ti passa sotto gli occhi, li guardi e pensi a chi qui non ci viene mai, quello che non può perché chissà dove vive, quello che non può perché è morto anche lui, quello che non vuole, quello che non si ricorda nemmeno più, i biglietti sono per loro no? e infatti lo sappiamo tutti che dei morti ti puoi fidare ma dei vivi no. Fuori tira un vento gelido, il cielo è pieno di nuvole nere e pollini, sembra che nulla riesca a stare al suo posto – nulla, tranne i foglietti arancioni, Concessione scaduta.

    12/05/2012

    Altrove

    Filed under: — JE6 @ 18:53

    L’uomo con lo zainetto nero stava con le mani in tasca, all’entrata occidentale della stazione, in mezzo alla folla di turisti orientali, borseggiatori, tassisti, carabinieri, guardando il traffico caotico della via che si sarebbe calmato solo a tarda notte, quando i barboni avrebbero steso i loro cartoni davanti alle vetrine della farmacia e le puttane avrebbero guardato l’orologio per controllare quanto tempo mancava alla fine del turno di lavoro. L’amico arrivò col suo passo tranquillo, quando incrociarono gli sguardi entrambi sorrisero, si strinsero la mano come ormai pareva che tutti facessero, con quella presa da braccio di ferro, e facendo leva sui gomiti si strinsero e si abbracciarono in fretta. Attraversarono la stazione, da una parte il McDonald’s e dall’altra la burger house fintoamericana, le edicole, i negozi di souvenir, le collane, i pupazzi di Hello Kitty, la libreria, le scarpe Nike, Hai tempo almeno per un caffè disse l’amico, Sì, rispose l’uomo con lo zainetto nero. Si fermarono in uno dei bar della stazione, trovarono un tavolino libero, l’amico ordinò due birre e l’uomo con lo zaino nero passò la mano sul tavolino per far cadere le briciole di un cornetto mangiato da chissà chi prima di loro. Parlarono del più e del meno, guardando la fila delle persone che aspettavano un taxi allungarsi e accorciarsi come un serpente stanco, Il lavoro come va, Bene, ce n’è fin troppo, Beh, per fortuna, Lo so, ma bisogna pur lamentarsi di qualcosa, Allora non ti fermi, No, poi rimasero per un po’ in silenzio, l’uomo con lo zaino nero che si rendeva conto che l’amico indossava una polo azzurra, di un azzurro strano, quasi stinto eppure luminoso, gli pareva di ricordarla quella maglietta, forse a un aperitivo qualche anno prima in un tardo pomeriggio di un giugno caldo e senza vento, l’amico che cercava di capire dove stesse andando l’uomo con lo zaino nero perché una cosa era certa, non stava tornando nella sua città, ma il biglietto del treno che spuntava dalla tasca dello zaino nascondeva la destinazione, E’ un anno che non ci vediamo, disse l’amico, Lo so, rispose l’uomo con lo zaino nero, Come stai, chiese l’amico, Benino, rispose l’uomo con lo zaino nero, Già, disse l’amico, poi entrambi guardarono il telefono, controllando per abitudine ora e messaggi, Dove stai andando, si decise a chiedere l’amico, Te lo dico quando arrivo, rispose l’uomo con l0 zaino nero, Se arrivo, aggiunse, Che cazzo dici, cosa vuol dire se arrivo, Non ti preoccupare, Se lo dici tu, rimasero ancora un po’ in silenzio, finendo le birre, ognuno pensando a quel posto, uno che sapeva dov’era e l’altro no ma sentiva che era da qualche altra parte, altrove, un posto nuovo qualunque cosa questo volesse dire, E’ quasi l’ora disse l’uomo con lo zaino nero, Sì, rispose l’amico, Senti, Dimmi, Fammi sapere quando arrivi, Certo, E dove arrivi, Va bene, Se arrivi, ovviamente, l’uomo con lo zaino nero rise, alzò la mano e strinse quella dell’amico con quella presa da braccio di ferro, e facendo leva sui gomiti si strinsero ancora, e ancora si abbracciarono in fretta, poi l’uomo con lo zaino nero disse Grazie per la birra e si allontanò andando verso i binari, l’amico non rispose e uscì, passando in mezzo alla fila delle persone in coda per prendere un taxi.

    10/05/2012

    “Non sono solo malattia”

    Filed under: — JE6 @ 16:02

    A suo modo è una storia già vista, già sentita. Purtroppo o per fortuna, non so. E però, le storie non sono mai le stesse; e comunque, alla fine, bisogna saperle raccontare. Biccio è un amico, anche se non lo vedo da troppo tempo, ed è uno che quella cosa, raccontare, la sa fare. “Alessandro, una storia italiana” è una piccola, bella cosa di dodici minuti, ce la fate in pausa pranzo, magari vi toglie la fame o vi rovina la digestione, però vi dà parecchie altre cose. Dategli un’occhiata.

    08/05/2012

    Si sta come le Pagine Gialle davanti ai portoni

    Filed under: — JE6 @ 17:43

    Qualcuno prova un senso misto di vergogna per lo spreco e pietà per chi ha fatto il lavoro e allora si china, prende il volume in mano, apre il portone, entra in ascensore e poi in casa e lo appoggia da qualche parte – un portariviste capiente, la scrivania dello studio, un angolo libero della libreria – senza nemmeno strappare il cellophane di protezione. Qualcuno, dopo aver preso il volume in mano, non fa che girare due angoli, portarsi alle spalle del palazzo, aprire il bidone bianco della carta da riciclare e buttarcelo dentro – a volte dimenticandosi di toglierlo, quel cellophane. Qualcun altro non fa nemmeno lo sforzo, ci penseranno quelli delle pulizie condominiali. E fino a quando questi ci pensano per davvero i volumi rimangono lì, a fianco del grande zerbino del portone di ingresso, impilati uno sull’altro, spessi la metà di quanto non fossero solo cinque anni fa, pieni di numeri di telefono che nessuno consulta più, ci restano per giorni e giorni – sembrano una metafora di qualcosa, se solo si capisse di cosa.

    06/05/2012

    Un’altra sera al Crucible

    Filed under: — JE6 @ 15:07

    Tra poco inizia la finale del campionato mondiale di snooker. La giocano al Crucible di Sheffield, e se non sapete di cosa sto parlando fareste bene a informarvi, magari andando in libreria per comprare “On snooker” di Mordecai Richler – sì, è quello della versione di Barney, potete fidarvi. Io quel poco che potevo dire l’ho scritto un annetto fa, adesso mi metto comodo, poi magari mi fate sapere chi ha vinto lo scudetto, dice che oggi succede anche quello.